Volontari a guardia dei beni culturali. È questa l’idea sfociata in un accordo firmato da Comune, Prefettura e Sovrintendenza, che affida agli Amici dei Musei il monitoraggio dello stato di salute dei beni storici artistici di Pisa e che, in prospettiva, mira a costituire una squadra specializzata di volontari per il pronto intervento.
Questo è il risultato di una riunione in Prefettura del 4 febbraio che ha visto la partecipazione anche della Provincia, dell’Università e della Scuola Normale, dell’Arcidiocesi, della Direzione Territoriale del Lavoro, della Usl, del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco e dell’Inail di Pisa.
Tutte le istituzioni riunite intorno a un tavolo per trovare una soluzione a costo zero al degrado e alla necessità di manutenzione del patrimonio storico artistico pisano. E per capire che questa necessità è reale e urgente basta pensare ai casi saliti agli onori della cronaca negli ultimi mesi: Santo Stefano dei Cavalieri e Sant’Antonio in Qualquonia.
In tempi di casse vuote appare provvidenziale la disponibilità degli Amici dei Musei ad istituire una sezione di volontari dedicata a questo scopo, “che risponde alle finalità statutarie dell’associazione”, e a farsi carico di reperire le coperture finanziarie per le spese vive che quest’operazione comporterà.
Un’operazione che, sebbene volontaria, dovrà certo sottostare a regole precise, come le normative di sicurezza sul lavoro vigenti. Ma la cui azione non potrà certo ignorare i criteri e le necessità della conservazione. Una criticità messa in evidenza dall’architetto della Sovrintendenza Marta Ciafaloni, che ha ricordato interventi estemporanei di rimozione di cornici ed elementi architettonici,fatti d’urgenza per la salvaguardia dell’incolumità, che hanno però portato alla perdita irreversibile di ornati lapidei ed elementi a rilievo.
E qui casca l’asino, verrebbe da dire. Se è vero che negli intendimenti, e per richiesta dello stesso Prefetto Tagliente, nell’atto si specifica che a guidare il team di volontari dovrà essere persona di comprovata esperienza, come un ex soprintendente o un tecnico esperto nel settore dei beni culturali, due sono le problematiche che quest’accordo porta con sé.
Da un lato c’è un pubblico che persevera a delegare le sue funzioni al volontariato in assenza di fondi da investire nella tutela del proprio patrimonio culturale e artistico. Un patrimonio la cui funzione è però pur sempre sancita nell‘articolo 9 della Costituzione che recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Riconoscendo così allo Stato, e al pubblico, la funzione di conservazione di un patrimonio che è parte fondante del nostro essere cittadini. E che dunque forse meriterebbe di vedersi destinate risorse che invece si decide di investire altrove (sia la realizzazione di un altro polo tecnologico o di una rotonda che avrà bisogno a breve di essere “ricostruita” a causa di lavori eseguiti in fretta e furia – e il discorso, sia chiaro, vale tanto più a livello nazionale).
Dall’altro lato c’è anche la mortificazione e la svalorizzazione di professionalità formate con anni di studio e di specializzazione che arrancano per veder affermato il loro diritto al lavoro (l’articolo 1, ricordate?). Un lavoro di cui oggi ci sarebbe grande e urgente bisogno. Storici dell’arte, restauratori e conservatori che con loro buona pace vedono affidare a volontari e funzionari in pensione il loro lavoro: la salvaguardia e la conservazione del nostro patrimonio storico artistico.