Partire per realizzare un documentario su una coppia di falchi pellegrini che nidificano a Roma e ritrovarsi in un viaggio lungo sette anni nella vita di Piergiorgio Welby. In compagnia della moglie Mina e di quella famiglia che lo ha accompagnato e sostenuto in una battaglia che è stata si personale, ma anche indirizzata al riconoscimento di un diritto, l’autodeterminazione.
A compiere questo viaggio sono Livia Giunti e Francesco Andreotti, che firmano il documentario Love is All con la loro casa di produzione indipendente SANTIFANTI.
“Il padrone del vapore”. Così la sorella Carla definisce Piergiorgio Welby: un uomo che vuole avere la regia delle proprie cose. Ed è lui in qualche modo ad avere la “regia” di questo documentario: un racconto da dentro, che si nutre e si articola attraverso gli scritti di Piergiorgio Welby, i suoi dipinti, le foto e i filmati che la famiglia ha girato e conservato.
Love is all è la frase che Piergiorgio Welby si era tatuato da solo sul braccio “in tempi non sospetti”. Raccontano Francesco e Livia: ”Piero ascoltava i Beatles e ne condivideva il messaggio pacifista: da qui la scelta di questa frase” – all you need is love, love is all you need! John Lennon 1967. Racconta il nipote Francesco Lioce che Piero dava ripetizioni ad allievi che lo adoravano e ascoltava i problemi degli amici senza far mai mancare loro il suo conforto. La stanza del malato Welby, dice ancora Lioce, era una finestra sul mondo, sulla cultura, sull’amore per la vita. Questo il senso del tatuaggio e del titolo del film”.
La struttura è la scala che crea il percorso attraverso le testimonianze, materializzazione forte e simbolica degli ostacoli che la disabilità porta con sé. Ma che rappresenta anche una sorta di albero, ormai secco, un albero della vita in cui questa torna ad avere forza attraverso i video-racconti e i ricordi.
Un scala che nasce con Gradi di coscienza, che prima di trasformarsi in un documentario è stato un’istallazione, nel 2009 al Look At Festival di Lucca e che è stata allestita nuovamente questa primavera presso la Città del Teatro di Cascina.
Livia e Francesco si sono imbattuti in Piergiorgio Welby un mese dopo la sua morte. Certo prima di allora la sua immagine, quella di un uomo che con lucidità mette in discussione la sua condizione, che rivendica il diritto a una morte civile e a un paese civile, entra attraverso la televisione nelle loro case come in quelle di altri milioni di persone.
Loro però lo ri-incontrano grazie ai falchi pellegrini, sul sito che segue attraverso una web cam la loro nidificazione e dove Welby partecipa con ironici interventi al forum.
Poi l’incontro con Mina Welby che li guida nella vita attraverso la vita e la battaglia del marito, attraverso quel prezioso patrimonio famigliare fatto di fotografie, per cui hanno condiviso la passione, di dipinti, di scritti e di poesie, alcune rimaste ‘private’, che in “Love is All” costituiscono la prima fonte e i primi protagonisti: Welby da icona televisiva diventa persona, con la sua storia e la sua battaglia.
A colpire i due registi “la libertà di pensiero e la capacità di mettere in discussione tutto”, così come “l’ironia, la coerenza e soprattutto la tenacia di un uomo attaccato alle macchine, devastato dalla sofferenza fisica ma che nonostante tutto trova ogni giorno la forza di lavorare e sceglie di compiere una battaglia sul crinale della disobbedienza civile ma nel rispetto delle indicazioni della nostra Costituzione”.
Una tenacia, che al Paese si è materializzata con la lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, e che lo ha visto dedicarsi per quattro anni allo studio della legislazione italiana, ma anche svizzera, belga e olandese, per dimostrare che quello che chiedeva, cioè il rifiuto dell’accanimento terapeutico sul suo corpo ormai perduto, era legittimo. Perché spiegano Francesco Andreotti e Livia Giunti “voleva che la sua vita finisse, ma voleva anche che il suo paese fosse più civile e la giurisprudenza italiana gli ha dato ragione, nonostante i pareri discordanti della politica e le opinioni in libertà che da più parti riceveva”.
A 16 anni la diagnosi, distrofia muscolare che avrebbe dovuto impedirgli di arrivare a 20 anni; negli anni ’70 arriva l’eroina ma anche la scoperta della fotografia con cui inizia a sperimentare, negli anni ’80, insieme a Mina. Nel 1997, dopo una crisi respiratoria è sottoposto a una tracheostomia. Nel 1998 stessa sorte tocca al padre. Dopo questi due eventi traumatici, dopo l’esperienza della rianimazione di corpi allacciati alle macchine il suo sguardo si apre verso l’esterno. Questo suo post sul sito dei radicali il primo maggio del 2002 ha l’effetto di una deflagrazione: “Tutto fermo? Altro che deserto dei Tartari…mentre si scruta l’orizzonte…i terminali come me… invidiano gli olandesi… SVEGLIAAAA!”. Poco dopo diventa vicepresidente dell’associazione “Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica” e inizia una intensa attività di pubblicista sul web e su vari giornali.
Una storia, quella di Welby e quella che racconta il documentario, sottolineano Livia e Francesco “che continua ancora”. Ad attendere di essere analizzata una proposta di legge di iniziativa popolare sul rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia, nota come legge Welby, che ha raccolto 70 mila firme. E la battaglia per fare dell’Italia un paese ‘civile’, una battaglia che vede ancora Mina in prima linea, in cui ad essere affermato sia il diritto all’autodeterminazione, qualunque sia quella che ognuno vuole per sé.
Il documentario è in fase di editing, la conclusione dei lavori è prevista entro a fine dell’estate. Poi inizierà l’avventura per trovare una distribuzione.
A firmare la colonna sonora Tommaso Novi, le animazioni grafiche sono di Valerio Torresi, mentre la sonorizzazione porta la firma di Totino Setzi.
Alla realizzazione dell’instalazione hanno partecipato Marco Pavone, Andrea Forlenza, Mario Mantilli e altri amici del Cantiere Sanbernardo.
Bellissimo, mi commuove e mi smuove sempre il dialogo misterioso e forte con Piergiorgio, che anch’io ho apprezzato dopo. Ma nessun rimpianto nè tristezza. Diffondo come posso. Grazie!
Vicky