Erano abbracciati a letto da secoli. Non si sarebbe staccata mai.
Fuori prometteva neve, tempesta, bufera e la fine del mondo per mano di altre indefinite catastrofi atmosferiche e loro erano lì, fermi.
Niente si muoveva, niente faceva rumore. Solo dalla strada, ogni tanto, arrivava il suono inconfondibile delle gomme che correvano sull’asfalto bagnato. Il condominio era silenzioso. Tutto era fermo.
Anche loro.
Ogni tanto la mano di lui scivolava sulla sua guancia, accarezzandola senza fretta, senza tempo.
Lei rispondeva con un sorriso che lui non poteva vedere ma percepiva dal rigonfiamento sullo zigomo.
Fermi.
Il cielo fuori era bianco, infinitamente e sperdutamente candido.
Forse avrebbe nevicato. Forse sarebbe rimasto freddo e basta.
Non le importava. Loro erano lì, fermi, in un momento di pace che la quotidianità non concedeva mai, a contare i secondi e facendo a ognuno un piccolo funerale, salutandoli con la triste consapevolezza di aver appena perso un attimo irripetibile.
I loro corpi si stavano raffreddando piano piano. Si strinsero un po’ di più.
Lei affondò il viso nel suo collo, sentì la barba pungerle una guancia e lo annusò.
Annusò il suo odore prima con discrezione, poi con respiri piccoli e veloci, come fosse un cane da tartufo.
Lui rise e si scostò.
Continuò a punzecchiarlo per un altro po’, poi lo baciò nell’incavo tra l’occhio e il naso e gli poggiò nuovamente la testa su una spalla.
Si fermarono di nuovo. Si persero nell’annullamento del tempo che si erano regalati.
E mentre rifletteva se alla fine, nonostante i grandi poeti, fosse proprio questa la felicità, stare ferma e addormentarsi accanto alla persona che amava, si alzò in preda a una strana sensazione, come se il tempo avesse subito un’ulteriore botta d’arresto.
Si avvicinò alla finestra, scostò le tendine e guardò fuori.
Sorrise.
Aveva cominciato a nevicare.
Alessia R. Terrusi