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Troppo stanchi? E il cervello si addormenta. Anche senza accorgersene

sonno

Uno studio condotto da ricercatori pisani insieme all’Università del Wisconsin dimostra la correlazione tra la stanchezza mentale e il “sonno locale” di alcune parti del cervello


Che il sonno sia fondamentale per il buon funzionamento cerebrale è dimostrato dalle ben note conseguenze della sua deprivazione, che includono, tra le altre cose, cali di attenzione, confusione e instabilità emotiva. Di fatto, tali alterazioni rappresentano una delle cause di errori medici, incidenti automobilistici e comportamenti antisociali.

giulio bernardiUn originale studio pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista scientifica Journal of Neuroscience e frutto della collaborazione tra il Laboratorio di Biochimica clinica e Biologia molecolare clinica dell’Università di Pisa e l’Unità Operativa di Psicologia clinica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, entrambi diretti dal professor Pietro Pietrini, e il Centro per lo studio del sonno e della coscienza dell’Università del Wisconsin (Madison, USA) guidato dal professor Giulio Tononi, ha dimostrato che la veglia prolungata in individui impegnati in un dato compito è associata alla comparsa di temporanei episodi di “sonno locale”, con gravi conseguenze negative sulle abilità cognitive e sul controllo del comportamento.

In questa ricerca, Giulio Bernardi, giovane assegnista dell’Università di Pisa(nella foto), e collaboratori hanno dimostrato che l’utilizzo prolungato di particolari funzioni cognitive può determinare un affaticamento delle regioni cerebrali coinvolte in queste stesse funzioni. In particolare, i ricercatori hanno studiato se la pratica prolungata di compiti basati sull’autocontrollo potesse determinare una riduzione relativa della capacità di controllare gli impulsi, a causa di un relativo affaticamento delle aree corticali frontali.

Per verificare questa ipotesi, un gruppo di 16 giovani volontari sani ha completato una serie di test basati sulle cosiddette “funzioni esecutive”, associate al reclutamento delle regioni corticali frontali, per un periodo di 24 ore e in assenza di sonno. Come compito di controllo, in una distinta sessione sperimentale, gli stessi volontari dovevano svolgere, ancora una volta per 24 ore, un compito basato sulla coordinazione occhio-mano (un simulatore di guida). L’ordine di completamento delle due sessioni sperimentali è stato assegnato ai partecipanti in ordine pseudo-casuale, in modo da minimizzare gli effetti dell’apprendimento e dell’abituazione.

Gli autori hanno inoltre impiegato registrazioni elettroencefalografiche ad alta densità (EEG) per monitorare l’attività cerebrale dei partecipanti prima e durante l’esecuzione di particolari test comportamentali basati sugli stessi distinti domini cognitivi. Di fatto, la pratica prolungata in assenza di sonno ha portato alla comparsa di errori comportamentali durante i due test. Inoltre, gli errori sono risultati essere associati con la comparsa di oscillazioni a bassa frequenza, simili a quelli normalmente osservabili durante il sonno, nelle aree cerebrali coinvolte nello svolgimento dei compiti stessi.

Questi risultati indicano che la pratica prolungata di specifiche attività può portare a un progressivo “affaticamento funzionale” di particolari regioni cerebrali. In tali condizioni, individui in apparente stato di piena vigilanza potrebbero in realtà presentare imprevedibili episodi di temporaneo sonno locale, con potenziali conseguenze negative sulla performance cognitiva e sul controllo del comportamento.

Queste osservazioni possono contribuire a spiegare i meccanismi che determinano la ridotta performance, l’impulsività e la perdita delle inibizioni, in conseguenza di una privazione acuta o di una restrizione prolungata del sonno. Inoltre, essi aprono nuove prospettive per lo sviluppo di approcci per l’identificazione e la prevenzione di questi fenomeni di “sonno locale”.

“Un affaticamento funzionale frontale in individui che si trovano per un tempo prolungato in condizioni di stress potrebbe contribuire a spiegare la perdita improvvisa e imprevedibile di controllo sugli impulsi che viene frequentemente riscontrata nei reati d’impeto – conclude il professor Pietrini – Dunque, questi risultati offrono una nuova prospettiva sulla genesi e la dinamica dei comportamenti antisociali di tipo impulsivo e forniscono un correlato cerebrale dell’errore per stanchezza”.

Altri studi sono in corso per verificare se specifici fattori, come una predisposizione genetica, particolari alterazioni cerebrali morfologiche o funzionali, o l’intervento di determinate variabili ambientali, possano essere associate a una maggiore o minore vulnerabilità agli effetti dell’affaticamento cognitivo e alla comparsa di episodi di sonno locale durante la veglia.

La ricerca è stata finanziata dal National Institutes of Health (NIH, Stati Uniti), dalla McDowell Foundation, dalla Swiss National Foundation, dalla Swiss Foundation for Medical-Biological Grants e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.

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Pubblicato il: 19 marzo 2015

Argomenti: Mondo, Scuola-Università

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