Pasquetta vuol dire pic-nic. Pasquetta vuol dire continuare a friggere tutta la notte, e poi la macedonia, l’amico celiaco, chi porta il vino, i litri di caffè. No. Santocielono. E lo sconforto minaccia
Superata l’annosa questione AbbacchioSì – AbbacchioNo, e dopo aver ingerito tonnellate di Brioschi e Citrosodina, il giorno di Pasqua volge al termine.
E tutti, un po’ gonfi di cibo, un po’ briai, un po’ incazzati perché co’ ‘sta storia del veganesimo c’è toccato mangiare il tofu al forno con il bamboo, tutti, insomma, ci sbrachiamo sul letto a panzallaria.
Mani incrociate.
Sorriso rubicondo.
Occhi socchiusi.
E come sempre alla fine di una giornata dedita unicamente alla tavola, stanchi di niente se non di muovere la mandibola, ci perdiamo in pensieri pacifici e galleggianti.
Il sonno che comincia a calare nonostante il caffè e il grappino, la consapevolezza che Daje e daje pure ‘sta Pasqua l’avemo sfangata, la piacevole sensazione dei jeans che si allentano quando sganci il bottone, i piani di lenta organizzazione per domani…
…aspetta.
Apriamo gli occhi, guardinghi.
Domani? Perché questa minuscola sinapsi ci ha allarmati tanto?
Rientro a lavoro? No.
Mamma e papà a cena? No.
Repliche di Ballando con le stelle? Nemmeno.
Quand’ecco la folgorazione.
Domani. È. Pasquetta.
E questo una mente che sta facendo BOINGBOING tra lasagne e carciofi fritti non può concepirlo.
Pasquetta.
Pasquetta vuol dire pic-nic.
Pasquetta vuol dire continuare a friggere tutta stanotte per poter portare quella mezza quintalata di fettine panate che bastano a malapena per dieci di noi.
Pasquetta vuol dire preparare i panini, fare le òva sode, la maionese, un par de frittate, la pasta, cazzarola, la pasta per tutti che sennò non ci sta manco un primo e pare brutto.
E tirare giù una pila di contenitori Tetrapak che sembrano la miniatura della Torre di Pisa. E poi la macedonia, taglia le mele, affetta i kiwi, fai a rondelle le banane, spremi sei-sette arance, spezzettaci dentro quelle tre òva fondenti avanzate.
E organizza chi porta il vino, chi la birra, chi l’acqua, carica tre thermos di caffè, meglio quattro, famo cinque e non se ne parli più.
E ricordati che Tizio è celiaco, Caio è intollerante al lattosio, Sempronio non po’ magna’ le fragole che sennò gli si chiude la gola e fischia al Pronto Soccorso.
E poi scottex, tovaglie, tovaglioli, teli da mare, sedioline, buste, buste grandi, alluminio, pellicola, posate e piatti di plastica.
No. Santocielono.
Lo sconforto minaccia di prendere il sopravvento perfino sul piacevole retrogusto di costoletta che
un regale do-di-petto ti ha fatto salire in gola poco fa. Hai le lacrime agli occhi, e non solo perché stai sbadigliando da un quarto d’ora.
C’è solo una speranza, a cui ti aggrappi come fosse un ramoscello d’erba proprio fuori dalle sabbie mobili: il meteo. Accendi la tivvù. Il colonnello saluta e passa alle previsioni per domani. Scorri avidamente la cartina e finalmente i tuoi occhi arrossati si posano nella zona in cui dovrebbe essere posizionata la tua città.
Domani piove.
Dio c’è.