di Lorenzo Carletti e Cristiano Giometti
Con il suo sguardo vivo e penetrante, Costanza Bonarelli si rivolge a chi la osserva con la naturalezza e il piglio con cui si rivolgeva al più illustre dei suoi amanti. I capelli scompigliati e la camiciola aperta sulla generosa scollatura non nascondono l’intimità di quel ritratto, colto durante una conversazione privata dalla sensibilità straordinaria di Gian Lorenzo Bernini. Uno dei busti più moderni del XVII secolo fu scolpito nel 1638 circa dal cavalier Bernini per se stesso, ma dopo i fatti sconvolgenti che accaddero più tardi, tra l’agosto e il settembre di quello stesso anno, il marmo, come una sorta di damnatio memoriae, lasciò Roma per passare dapprima alla corte estense e quindi nella Collezione di Giovan Carlo de’ Medici, ragion per cui oggi lo si ammira a Firenze nelle sale del Museo nazionale del Bargello.
La relazione clandestina che portò alla realizzazione del ritratto, fu anche causa di uno scandalo la cui eco giunse a tutte le corti d’Europa
Lo scultore invitò un suo servitore a consegnare due fiaschi di vino greco alla moglie del Bonarelli, ma gli diede anche un rasoio e il seguente ordine: “Va da parte mia alla signora Gostanza, e presentali questo, e quando vedi il bello sfregiala”. In tal modo Bernini volle marchiare con quel segno il volto volitivo che egli stesso aveva da poco reso eterno nel marmo. La sua reputazione era segnata: Costanza fu arrestata per volontà del Governatore di Roma e confinata in una casa di correzione femminile. Matteo Bonarelli cessò immantinente la sua collaborazione col maestro, mentre Luigi Bernini fu inviato in tutta fretta a Bologna, dove si trattenne per un anno. Nel frattempo Gian Lorenzo Bernini fu multato di tremila scudi per aver commissionato l’aggressione e ricondotto a più miti intendimenti dal pontefice regnante, che lo invitò a prender moglie, cosa che avvenne il 15 maggio del 1639. Appena un mese prima Costanza era tornata a casa dal marito, in vicolo Scandenberg alle pendici del Quirinale.
Anche la più violenta delle tempeste si placa e la vita torna alla normalità: Matteo Bonarelli riprende addirittura a lavorare per il maestro (e già rivale in amore), ricevendo inoltre importanti commissioni come quella dei dodici leoni in bronzo ordinati nel 1649 da Velasquez per Filippo IV re di Spagna. Quando morì nel gennaio del 1654 la fiorente attività di commercio artistico avviata in vicolo Scandenberg fu portata avanti dalla vedova, che nei documenti è spesso ricordata come “Costanza scultora”, quasi a voler rivaleggiare lei stessa con quell’artista “padrone del mondo” che ne aveva segnato l’esistenza. Alla sua morte, il 30 novembre 1662, Costanza aveva raggiunto una posizione sociale di tutto rispetto e vantava una collezione di 80 sculture, 4 disegni e 111 dipinti, tra cui almeno tre di Nicolas Poussin. Nello sguardo così potente del ritratto di marmo oggi a Firenze, la “scultora” consuma a ogni respiro la sua personale vendetta nei confronti del cavalier Bernini.
Per una ricostruzione su base documentaria di questa affascinante storia si consiglia la lettura del libro di Sarah McPhee, Bernini’s Beloved. A portrait of Costanza Piccolomini, New Haven and London 2012