Trent’anni fa, fra il 22 e il 24 gennaio, il Mac faceva il suo ingresso nella storia dell’informatica. Il 22, durante il terzo quarto del Super Bowl, veniva trasmesso il mega spot che annunciava il Mac al mondo. Il 24 iniziavano le vendite.
Un trentennale obbligatorio da ricordare e utile per qualche riflessione.
Per la promozione di un prodotto informatico lo spot del Mac fu un evento di per sé. L’impegno economico fu inaudito per il settore a partire dallo spazio pubblicitario acquistato: la finale del campionato americano di football. Poi la produzione, affidata a Ridley Scott, al tempo fresco del successo di Blade Runner. Infine il budget: per un minuto furono resi disponibili 900000 $, circa un quarto di quanto inizialmente stanziato per Alien – tanto per rimanere in zona Scott.
Ma l’aspetto più rilevante è il messaggio veicolato dallo spot. Non si parla di prestazioni, non si citano dati tecnici, né applicazioni professionali. Con un esplicito riferimento orwelliano si evoca invece una concorrenza grigia, minacciosamente uniformante, alla quale occorre ribellarsi. Il Mac non è proposto come uno strumento di lavoro, ma come un mezzo per distinguersi dalla massa.
Lo spot per il Mac segna un cambiamento epocale nell’informatica commerciale, prima era un mercato professionale, dopo diventa un mercato emozionale. Apple ebbe il coraggio di rischiare molto e la fortuna di azzeccare i tempi, facendo così la storia.
Ma, a onor del vero, l’idea non era nuova.
Quasi vent’anni prima nel numero 84 (!) di Notizie Olivetti di luglio 1965 compariva, postumo, un articolo di Riccardo Musatti intitolato “Design per la luna”. Musatti, storico dell’arte e collaboratore di Adriano Olivetti su più temi (vale la pena di ricordare il saggio “La via del Sud”), era anche un osservatore attento delle dinamiche legate al design e alla commercializzazione dei prodotti. Nel suo articolo espone lucidamente l’uso della “diversità” come tecnica per promuovere un prodotto tecnologico anche quando, da un punto di vista funzionale, il mercato è già saturo. E per non lasciare spazio a dubbi, cita come esempio l’abbigliamento e la moda.
Per l’Olivetti non sarà solo teoria. La campagna pubblicitaria della Programma 101 a partire dal 1966 sarà ispirata proprio a questi temi. Per la 101 la diversità su cui è costruito il messaggio promozional è la dimensione personale contrapposta agli enormi calcolatori aziendali. Senza scomodare Orwell, si sfrutta il timore – al tempo realmente diffuso – del controllo esercitato dai misteriosi cervelli elettronici usati dai governi e dai grandi gruppi industriali. La 101 è invece vostra, anche un bambino può farla funzionare e si può usare ovunque, persino mentre si fa il bagno! Un po’ sfacciato? Beh, stiamo parlando di pubblicità.
D’altra parte, ascoltando il tetro Grande Fratello dello spot Apple dichiarare i suoi propositi di dominio – l’Unification of Thoughts – gli espedienti dei creativi Olivetti appaiono innocenti. Soprattutto se pensiamo alle app che oggi possiamo avere sui “nostri” iPhone e iPad solo se approvate da un unico, centralizzato e controllatissimo App(le) Store.
Lo spot del Mac si può vedere qua:
Spezzoni dei filmati pubblicitari della Programma 101 si possono vedere qua:
tratto dal documentario “P101 – Memory of the future” di Zenit Arti Audiovisive.
Giovanni Cignoni
bel pezzo!
Veramente un bel pezzo!