1440 persone prese in carico, 9 infermieri, 7 medici, 2 assistenti sociali “e mezzo”, 3 educatori e 1 psicologo.
Questo è il Sert di Pisa. Un servizio della sanità pubblica che si occupa di seguire, aiutare, accompagnare le persone tossicodipendenti verso un percorso di recupero, ma anche di assistenza durante l’emergenza. E se guardiamo i numeri appena dati quello che salta all’occhio è un’evidente sproporzione che mostra chiaramente una carenza di personale. Solo a voler cogliere il dato più eclatante, un solo psicologo per oltre 1.000 persone non può bastare, per un servizio che si occupa di un problema che ha che fare con la dipendenza, e dunque con le motivazioni scatenanti di questa.
Ma la spending review ha colpito anche qui, col blocco del turnover e lo stop alle assunzioni.
E se nel pensiero comune al Sert (Servizi per le Tossicodipendenze) vanno i tossicodipendenti, che certo sono la maggioranza, 1188 nel 2013, da sapere c’è anche che a trovare assistenza qui sono anche gli alcolisti, 174 e i giocatori d’azzardo, 56 (a cui si sommano per arrivare al totale di 1440, 22 persone che al Sert si sono rivolte per avere una valutazione di non tossicodipendenza necessaria ai fini dell’adozione internazionale). L’accesso è libero, come ci spiega la dott.ssa Donatella Paffi responsabile del Sert di Pisa, vi arrivano persone di ogni genere, chi spinto dai familiari, chi attraverso la Prefettura dopo un fermo legato all’uso di alcool o stupefacenti.
Incontrare telefonicamente la responsabile del Sert di Pisa vuol dire anche fare i conti con fenomeni emergenti preoccupanti. Come l’esponenziale e costante aumento degli adolescenti presi in carico da questa struttura: una quindicina nel 2013, una cifra spiega la dottoressa Paffi “consistente se pensiamo che negli anni precedenti il numero era pari a zero”. Un fenomeno a cui il Sert di Pisa ha risposto con il Progetto Adolescenti, che fa capo alla sede di Cascina, dove il tentativo è quello di creare “un ambiente protetto, dove il percorso prevede anche un sostegno alle famiglie grazie alla collaborazione con gli psicologi della terapia familiare di Prato”. Perché per gli adolescenti la strada da seguire è quella di mantenerli in un contesto familiare.
Due sono i livelli di presa in carico di coloro che si rivolgono al Sert: quello dell’emergenza (come casi di intossicazione e di astinenza) e quello caratterizzato da un percorso più strutturato dove il paziente dopo essere stato sottoposto a una valutazione multidisciplinare viene accompagnato attraverso un programma terapeutico. E se nel caso dell’emergenza l’assistenza non viene negata a nessuno, per gli altri casi la linea seguita è quella della territorialità: ognuno va al Sert del proprio comune di residenza. Una scelta dettata da motivi di ordine economico. Anche se esistono fondi, come ci spiega la dottoressa Donatella Paffi, “la Regione ha istituito un fondo per l’inserimento di pazienti fuori zona”.
Un effetto collaterale su cui ci soffermiamo è quello dello spaccio di metadone. La cui somministrazione non viene negata a nessuno che ne abbia bisogno, ma il cui affido è subordinato ai casi di presa in carico “strutturata” e a un astinenza di 3 mesi. Ma le segnalazioni di boccette di metadone ritrovate fra la Stazione e Porta a Mare ci sono. E nemmeno la dottoressa Paffi le vuole negare. È un fenomeno riconducibile alla chiusura del servizio nel fine settimana? “Non credo che il fenomeno possa essere riconducibile a questo. Come dicevamo l’affido di metadone è subordinato a certi presupposti e non viene fatto a coloro che si presentano sporadicamente per necessità. Le posso dire che quando sono arrivata qui nel 1998 il Sert era aperto anche la domenica e lo smercio si verificava lo stesso”.
Ad aiutare in questo senso l’introduzione di altri farmaci che cominciano ad essere utilizzati in sostituzione del metadone e che per loro caratteristiche “sono più protettivi e meno adatti ad essere smerciati”.
Un progetto è allo studio in questi mesi. Ovvero il passaggio della cura degli utenti cronici ai medici di famiglia. Non un tentativo di scaricarsi di un peso, ma un’idea strutturata che riguarderebbe solo pazienti altamente stabilizzati che passerebbero alle cure del medico di base “accompagnati – spiega la dott.ssa Paffi – da un piano terapeutico preparato dal Sert”. In questo modo il paziente “sganciandosi dal servizio eviterebbe un ambiente e incontri dolorosi e a rischio”.
Un progetto che ha incontrato la sensibilità del dott. Rocco Damone, Direttore Sanitario ASL5-Pisa e che è supportato anche da uno studio sui costi del paziente in cura. Che ci spiega la Donatella Paffi “dimostrano come il passaggio al medico di famiglia, presi in considerazione tutti i fattori, dal tempo lavoro, alle analisi, allo smaltimento rifiuti, determinerebbe un risparmio di 2 mila euro a utente”. Staremo a vedere se il progetto diventerà realtà.
E, chissà, i soldi risparmiati potrebbero servire a reintegrare il personale di cui il Sert oggi avrebbe bisogno.
Molti anni fa ho avuto a che fare con il Sert di Pisa per un mio parente, allora poco più che diciottenne, che aveva un problema di tossicodipendenza ed ho dovuto constatare la totale incapacità della struttura di progettare un percorso decente che lo riguardasse. L’unica cosa che hanno saputo fare è appioppargli una doppia diagnosi: oltre che drogato era anche “pazzo” – cosa che toglieva ad un ragazzo di soli 18 anni ogni speranza di rinserimento decente. E perché era pazzo? Questo perché, ahimé, pure il padre era drogato con problemi mentali (a loro risultava sin dalla nascita) – io che sin dalla nascita lo conoscevo posso assicurare di no. Mi sono quindi trovata di fronte alla più bieca idea di trasmissione ereditaria di malattia mentale… Se questa è la politica, allora non mi stupisce che il numero delle persone in carico al Sert sia così alto e mi piacerebbe tanto sapere quanti pazienti sono passati dal Sert e poi ne sono usciti.