Correva l’anno 1982 quando Eduardo De Filippo attraversava la Sala degli Stemmi della Scuola Normale Superiore di Pisa. Trentadue anni dopo i fratelli Servillo raccontano nella stessa sala – e in video conferenza in molte altre sale del centro storico, gremite – la messa in scena della pièce “Le voci di dentro”, che ha avuto luogo al Teatro Verdi di Pisa nei giorni 11 e 12 Febbraio. L’opera di De Filippo rappresenta il punto di partenza di questa inconsueta matinée, realizzata in collaborazione con la Fondazione Cerratelli, a cavallo tra studi universitari, arte e spettacolo.
L’introduzione del prof. Mario Pezzella, docente di filosofia del cinema presso la Scuola Normale, ha messo in luce l’atto di restituzione di dignità ai problemi e alle bellezze del sud del nostro Paese operato dai Servillo, come da tanti altri registi e attori, che hanno contribuito a remare contro la costruzione dello stereotipo della napolitanità, quel guazzabuglio di compromessi, clientelismi e quieto vivere, che a lungo andare è riuscito a compromettere anche la potenza espressiva del dialetto napoletano.
In un’opera dove l’espressione è pirotecnia e il sonno dei vivi copre il timido raggio di sole che de Filippo proponeva per il finale originale dell’opera, i fratelli Servillo hanno “strappato la cartolina patinata della Napoli da chiosco turistico così da restituire non uno tipo, ma un percorso”. Toni Servillo, che firma la regia di questa interpretazione dell’opera, ha parlato del rapporto con il testo teatrale e con l’artigianalità della rappresentazione, grazie agli spunti della prof. Anna Barsotti, presidente del corso di laurea magistrale in Storia e Forme delle Arti Visive, e del prof. Augusto Sainati, professore di Storia, teoria e analisi del film dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli e dell’Università di Pisa.
La lectio ha preso avvio dal racconto del lavoro “di prima” condotto assieme al fratello Peppe, sottolineando come la fratellanza biologica abbia contribuito a una migliore interazione con il testo, che vede in azione appunto i due fratelli Saporito, fino al raggiungimento di una nuova vitalità.
Il tema del teatro come “faccenda di vita” è stato toccando facendo riferimento alla disponibilità dell’attore a donarsi al pubblico e a quella del pubblico stesso a credere alla finzione teatrale proposta, a viverla come accadimento reale racchiuso in un momento, il tempo in cui si ha il manifestarsi, palpabile, dell’opera.
Di che cosa si nutre il teatro, oltre che della buona disposizione degli astanti? Toni Servillo concepisce la mise en scène come un susseguirsi di momenti di condivisione a tutto tondo: come una famiglia d’altri tempi alla sera si raccoglieva attorno al fuoco per trarne calore, allo stesso modo la troupe, la compagnia, si scalda attorno al focolare del testo teatrale.
La necessità di mantenere la dimensione del noi, innescando un processo positivo di atomizzazione dell’io, fa sì che l’opera teatrale prenda vita in una declinazione plurale: a differenza della finzione cinematografica, “l’imbroglio sul lenzuolo” come si diceva a Napoli, il teatro si accosta ad ognuno in una forma di comunicazione intima e peculiare persona per persona, senza diventare il megafono di un messaggio massificato.
Di fatto, ha raccontato Peppe Servillo, a seconda della città in cui lo spettacolo è stato portato, il pubblico ha riso o si è commosso in punti diversi dello spettacolo, a simboleggiare come l’attenzione alle reazioni della platea diventi una sorta di magazzino delle fonti per uno scampolo di storia culturale di quella porzione di popolo.
In questa cornice di pluralità e condivisione, l’attore compie – o dovrebbe compiere, a meno che non voglia perseguire la sola via del successo – un percorso continuamente accidentato, entro il quale lui stesso crea ogni volta un contrainte diverso, una condizione da superare, per mettersi costantemente a verifica. Questa affermazione è stata anche la chiave di lettura con cui Toni Servillo ha risposto alla domanda sulla candidatura all’Oscar per “La grande bellezza” di Sorrentino, dunque la presa di coscienza dell’importanza del risultato raggiunto non deve creare la percezione dell’arrivo, ma di un traguardo tagliato che non può essere l’ultimo, se ci si dichiara onestamente attori.
La tournée de “Le voci di dentro” proseguirà in Italia e all’estero per un totale di 180 date fino a Pasqua, “finché c’è la salute”, hanno chiosato i due fratelli, ricordando ancora una volta la saggezza di Eduardo De Filippo.