di Giovanni Mainetto.
Come nella pellicola cult di Bertolucci “Berlinguer ti voglio bene” del 1977, il Circolo di Pisa dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR) sospende ‘il ricreativo’ a cui ci aveva abituato con le ultime iniziative tutte improntate alla critica dissacrante e irriverente delle dogmatiche credenze (non solo) religiose, e riprende ‘ad avviare il culturale’, affrontando un tema impegnativo legato alla differenza di genere come è “L’EVOLUZIONE DELLA DONNA”.
Abbandonate le mura amiche dei Circoli dell’ARCI, il ‘culturale’ approda in quel tempio della scienza cittadina e nazionale che è la Scuola Normale Superiore. Infatti, Sabato 15 Febbraio la SNS ha ospitato per il decimo anno consecutivo il Darwin Day, convegno con cui gli atei dell’UAAR sono soliti celebrare la ricorrenza della nascita di Charles Darwin, il fondatore della teoria evoluzionistica. Il motivo di questo vero e proprio amore degli atei per Darwin è evidente: è lui lo scienziato che con la sua teoria ha tolto l’Uomo – e ovviamente la sua compagna! – dall’alto dei Cieli, laddove era stato posizionato dai religiosi in una posizione così vicino al Dio creatore da essere stato fatto ‘a Sua immagine e somiglianza’, e lo ha riportato drasticamente coi piedi ben piantati sulla Terra, ricollocandolo brutalmente in mezzo agli animali. In una posizione forse più scomoda psicologicamente ma sicuramente più realistica alla luce delle nostre conoscenze preistoriche.
Ha aperto il Darwin Day la prof.sa Maria Turchetto, epistemologa dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e condirettore della rivista bimestrale dell’UAAR “L’Ateo”, con una relazione dal titolo “Letture maschiliste e femministe dell’evoluzione umana”. La relazione introduttiva ha percorso in modo sintetico i principali affinamenti intervenuti nella Teoria dell’Evoluzione della specie homo sapiens nei 150 anni circa che ci separano dalla prima enunciazione di Darwin, con particolare riferimento ai ruoli occupati in essa dagli uomini e dalle donne. Ebbene, fino all’affermarsi del femminismo verso gli anni ’70 del secolo scorso, tutti gli scienziati, compreso il rivoluzionario e geniale Darwin, hanno teso a mantenere l’uomo – inteso come maschio e molto spesso come maschio bianco – in cima a una presunta scala evoluzionistica che attribuisce maggiori qualità a chi occupa i suoi gradini più alti. La donna è stata di solito posta più in basso, come se nell’evoluzione si fosse fermata ad uno stadio inferiore di sviluppo, in particolare quello mentale. È solo nel 1972 che Elaine Morgan con L’origine della donna lancia una vera e propria sfida alle interpretazioni dell’evoluzione umana in chiave androcentrica. Per la prof.sa Turchetto l’origine di queste letture androcentriche dell’evoluzione va cercata nel fatto che “la scienza non abita in una torre d’avorio” e quindi talvolta è soggetta alle influenze e alle tendenze culturali del tempo.
La biologa Anna Maria Rossi dell’Università di Pisa con la relazione “La donna del pleistocene” ci ha portato dentro l’interessante mondo del ruolo fondamentale della donna nell’evoluzione della specie homo sapiens, utilizzando anche le conoscenze che ci vengono dallo studio dei reperti fossili di vari ominidi. La tesi di fondo, argomentata e suffragata da molti dati e grafici e documenti fotografici assai esplicativi, è che è il fattore evolutivo decisivo all’affermarsi della nostra specie sia la neotenia: termine che significa che i piccoli umani, a causa del restringimento del canale del parto della donna dovuto alla posizione eretta, hanno subito una evoluzione per cui devono nascere prematuri e la loro testa, inizialmente relativamente piccola, ha un periodo di accrescimento ulteriore nella fase postnatale. Siccome l’accrescimento della testa, e del cervello, nella nostra specie è molto lungo (dura fino a circa 23 anni!), diventano fondamentali per la sopravvivenza della nostra specie le cure e le capacità educative che la madre dedica esclusivamente alla propria prole nei primi anni di vita. Particolarmente importante sarebbe stata la capacità di trasmettere al neonato un linguaggio parlato. In pratica, dietro ogni grande homo sapiens, maschio o femmina che sia, c’è SEMPRE una grande mamma!
La Prof.sa Marirosa Di Stefano – neurofisiologa dell’Università di Pisa – con la sua relazione dal titolo dichiaratamente provocatorio “La superiorità mentale della donna” ci ha portato nel terreno ancora vergine e impervio delle differenze esistenti fra il modo di operare del cervello della donna e dell’uomo. Con l’uso di sofisticate tecniche di analisi – il Diffusion Tensor Imaging, uno strumento di risonanza magnetica che permette di ottenere immagini biomediche anche tridimensionali – è stato possibile comprendere quali sono le parti di cervelli femminili e maschili di un campione significativo che vengono attivate in risposta agli stessi stimoli. Si è potuto così capire che negli uomini c’è una maggior connessione fra sinapsi all’interno di uno stesso emisfero cerebrale, mentre nelle donne sembrerebbero essere maggiormente sviluppate le connessioni fra i due emisferi. Ciò porta a spiegare il fatto che le donne abbiano una maggior capacità di portare avanti contemporaneamente un maggior numero di compiti, mentre l’uomo sarebbe maggiormente capace a concentrarsi in profondità su un singolo problema alla volta. È comunque abbastanza accettato che le donne abbiano meglio sviluppato alcune caratteristiche legate a una maggior capacità di relazione sociale: empatia, solidarietà, volontà e capacità di cooperazione.
Il convegno si è concluso cercando di dare risposta alla fatidica domanda posta già nel mitico dibattito alla Casa del Popolo di Vergaio della cult movie citata all’inizio: “Pole la donna permettessi di pareggiare con l’omo?” Anche qui alla SNS la risposta di pubblico e oratori che è andata per la maggiore è stata: “Nooo!!!”. Ma il motivo è perché le loro menti, le loro abilità, le loro eccellenze e le loro carenze sono diverse e spesso non confrontabili. Perché così ci ha selezionato l’evoluzione della nostra specie. Possiamo azzardarci ad affermare in conclusione che donne e uomini sono complementari, ma laicamente dobbiamo tutti godere di uguali diritti, doveri, possibilità?