La Direzione provinciale del Pd ha affrontato la politica nazionale e ha approvato un ordine del giorno a maggioranza dove, con un po’ di mal di pancia, di fatto si ingoia il “rospo” Renzi.
“Il Partito democratico della provincia di Pisa – si legge nel documento – prende atto delle perplessità degli iscritti circa le modalità attraverso le quali la direzione nazionale del partito ha determinato le dimissioni del Presidente del Consiglio Enrico Letta e l´apertura della crisi di governo. È vero che dopo l´uscita di Berlusconi dalla maggioranza e dopo l´esito del congresso del Pd non c´è stata nel Governo quella ripartenza e quella svolta, in primo luogo sui temi sociali ed economici, che tutti ritenevano e ritengono necessaria, ma sarebbe stato necessario avviare la discussione politica a partire da questi temi, in modo da evitare il rischio di trasmettere all´opinione pubblica l´immagine di una svolta politica motivata da ragioni di avvicendamento nelle cariche.
“La discussione in Direzione del Partito – si legge ancora – non ha chiarito gli obiettivi politici e programmatici che devono motivare una scelta politica come questa. Abbiamo trovato ingeneroso il trattamento riservato a Letta ed ai suoi ministri”, mentre rispetto alla discussione e al documento votato, si dice che “non indagano le ragioni di merito e i nodi politici cruciali che hanno portato all´esaurimento della spinta e delle ragioni della sopravvivenza del governo Letta”.
“È difficile ad oggi ravvisare le condizioni politiche per imprimere una reale discontinuità, dal momento che restano immutate le condizioni del bilancio nazionale (con il peso del debito pubblico), le politiche ed i parametri di rigore europeo, il perimetro della maggioranza parlamentare che dovrebbe sostenere il nuovo Governo.
Tuttavia ci sembra fondamentale che il governo Renzi si caratterizzi per politiche economiche che superino la fase dell´austerità e per una più forte ed efficace pressione sull´Unione Europea per modificare l´indirizzo delle sue politiche: crediamo che sarà fondamentalmente su questo che si misurerà la reale consistenza e il successo della svolta e dell´accelerazione che il nostro partito ha deciso di imprimere alla vita politica del paese, e che solo se questo avverrà potranno essere superati i dubbi sul percorso e sul metodo”.
Nel documento si afferma infine l’intenzione di “sostenere con lealtà il tentativo del segretario nazionale del partito, recentemente investito da un forte consenso popolare, di formare un nuovo esecutivo”, e si aggiunge la convinzione “che la nascita del Governo debba accompagnare il percorso di riforme istituzionali e della legge elettorale proposto dal Segretario Renzi nelle scorse settimane”.
La decisione, assunta a larga maggioranza, della Direzione Nazionale del Partito Democratico di dar vita ad un nuovo Governo guidato dal Segretario Matteo Renzi ci pare una scelta errata ed estremamente pericolosa per il nostro partito; scelta paradossalmente ed inspiegabilmente votata anche da chi, fino a ieri, sosteneva convintamente il governo Letta, criticando una concezione del confronto interno al partito piegata verso l’omologazione, di linguaggio e di pensiero; decisione presa – ancora una volta – nella quasi assoluta assenza di considerazione di quello che appare il sentire comune degli iscritti ed elettori del Partito Democratico.
Ma la scelta della Direzione Nazionale ha anche di fatto sancito una sorta di abdicazione del partito in termini di mediazione sociale e politica e di possibilità decisionale, affidando al Segretario Nazionale, per molti aspetti, una sorta di delega in bianco. Di fatto, anche chi, come noi, ha sempre considerato le primarie come elemento partecipativo ormai essenziale nella vita del partito, percepisce una sorta di resa culturale e politica alla democrazia diretta, creando un modello che, come afferma qualche osservatore, era ed è destinato prima o poi ad entrare in conflitto con la vita del partito e le sue dinamiche decisionali.
Appare perciò evidente, per carattere e storia, che il nascente governo Renzi sarà connotato da un rapporto diretto con l’elettorato, sempre meno mediato dal partito in quanto entità politica e culturale. In questo quadro che spazio possono avere le voci – anche diffuse – critiche, di dissenso e realmente non omologate, rispetto alla possibilità di discutere e di incidere nelle decisioni che verranno assunte? Ricorreremo ancora in maniera ossessiva allo strumento della decretazione e ai voti di fiducia? Possiamo finalmente decidere di coinvolgere i militanti del PD in questi passaggi? Il voto delle primarie non sembrava indicasse la strada che è stata scelta.
L’errore politico che si sta compiendo sta infatti nella perniciosa incoerenza del messaggio politico che lanciamo alla nostra base, ai nostri elettori e a tutto il paese: chi fino a ieri rivendicava l’assoluta anomalia delle larghe intese e criticava la prassi di assumere il ruolo di Presidente del Consiglio senza passare per elezioni, si propone oggi per la guida di un governo con quelle stesse caratteristiche e trasformandolo in un esecutivo politico di legislatura a tutti gli effetti, negando quanto detto ai nostri elettori fino ad un attimo fa, cioè che si trattava un’esperienza di governo emergenziale con un orizzonte massimo di 18 mesi.
La sfida più grande consiste nell’avere il coraggio di rappresentare quel cambiamento chiesto a gran voce con il voto delle primarie dell’8 Dicembre. Il Partito Democratico doveva presentare agli elettori un programma chiaro e riformista, che si concentrasse sull’emergenza morale, sociale ed occupazionale ed indicasse un progetto di riforma delle istituzioni. Solo con la legittimazione del voto popolare poteva tornare a dare speranza agli italiani.
Invece si assiste, ancora una volta, in poco meno di un anno, ad un cambio di governo extraparlamentare, pur in un contesto costituzionalmente corretto, nella presunzione, tutta da dimostrare, di pensare di avere i numeri per aprire una fase di Governo nuova e utile al Paese, si badi bene, a parità di condizioni politiche e parlamentari in campo, laddove fino ad oggi abbiamo fallito, non tanto, o quanto meno non solamente, per incapacità di Letta e dei suoi ministri, ma per l’oggettivo non funzionamento dello schema stesso.
L’incapacità di affrontare seriamente la crisi economica-sociale ed istituzionale, nonché la debolezza con cui sono state affrontate le vicende, per molti versi discutibili, che hanno coinvolto alcuni ministri, sono state chiaramente dovute all’eterogeneità della maggioranza che sostiene il Governo. Non è perciò comprensibile come un cambio al vertice del Governo possa risolvere il cuore del problema che deriva dalla formula stessa delle larghe intese.
Quello del segretario Renzi è un rischio che lega il suo destino personale a quello di un partito. Con il paese sullo sfondo, non in primo piano. Coraggio sarebbe stato fare una legge elettorale velocemente e andare a votare, non entrare a Palazzo Chigi con un passaggio molto poco comprensibile anche per i nostri militanti ed assai poco onorevole sul piano di una prassi istituzionale, che spiace venga ancora una volta avvallata dal Quirinale.
Molti di noi lo vanno ripetendo senza sosta fin dal momento in cui le elezioni del febbraio 2013 decretarono l’assenza di maggioranze parlamentari: occorre approvare subito una nuova legge elettorale e ridare la parola ai cittadini, e la moral suasion del Presidente della Repubblica dovrebbe esercitarsi in tal senso.
L’accelerazione che il nostro Segretario Matteo Renzi ha impresso al dibattito politico, soprattutto in tema di legge elettorale, è da considerarsi fattore positivo. Come positiva è la sollecitazione ad aprire un dibattito all’interno del partito e del Parlamento sul tema del lavoro, con il jobs act, o su quello dei dritti civili. Il tutto compiuto nel contesto di una fase nuova e con un ruolo rinnovato e fortemente propositivo per il PD, con un Segretario che può contare su un forte consenso elettorale da poter spendere nell’unità del partito alla fine di un percorso che in pochi mesi può condurci al voto. Per questo motivo la proposta di un Governo con il centrodestra e di legislatura guidato da Renzi è un grave errore, e ci auspichiamo che il nostro Segretario, in nome di quel principio democratico di cui può farsi portatore, decida di consultare gli iscritti, di riflettere ancora, di non condurci in un’avventura di governo sbagliata nei presupposti fondamentali.
Non ci poniamo su posizioni strumentalmente antirenziane: siamo fortemente preoccupati sopratutto per la distanza dal paese reale, da quel conflitto di disuguaglianza che è forte e sentito.
Eravamo e restiamo contrari allo schema politico, delle larghe intese: continuiamo a sostenere l’idea che si debba fare la legge elettorale e tornare al voto. Se la proposta è quella di un governo di legislatura con Alfano e Formigoni, con la benedizione occulta di un Berlusconi che torna prepotentemente alla ribalta – totalmente legittimato – non siamo semplicemente d’accordo.
Mina Canarini
Samuele Agostini
Roberto Bertani
Luca Bertini
Sandro Gallo
Barbara Guerrazzi
Rita Landi
Stefano Landucci
Luciana Rocchi
Federico Russo
Giovanni Russo
Sonia Santucci