Pubblicato il bando per l’assegnazione della struttura di legno di Gagno, la cui occupazione e riapertura da parte del Comitato Riprendiamoci Gagno compie un mese, si apre la discussione.
Oggetto del malcontento è una clausula prevista nel bando per i requisiti alla partecipazione: i soggetti concorrenti non devono avere o aver avuto alle spallle occupazioni di immobili di proprietà del Comune.
Un bando, ricorda Una città in comune “atteso dal 2008. La struttura era stata finanziata nell’ambito del bilancio partecipato allo scopo di realizzare un centro di aggregazione sociale per il quartiere. La decisione di occuparlo è maturata dopo aver a lungo atteso l’apertura e l’uso del casottino mentre le intemperie deterioravano le pareti esterne”.
Un’occupazione che ha rapidamente trasformato la struttura in un centro di aggregazione in cui hanno preso vita numerose attività, dal dopo scuola allo sportello d’ascolto alla raccolta di indumenti usati, arricchite da regole condivise per la gestione dello spazio: turni di pulizia , raccolta differenziata dei rifiuti, divieto di fumo all’interno dei locali, regole sull’accensione del riscaldamento, sul livello di rumore delle attività svolte.
A partire da questo Una città in comune rigetta le accuse di illegalità e commenta: “Ciò che è sicuramente illegale – il termine preciso è danno all’erario – è tenere beni di proprietà pubblica inutilizzati, esponendoli al deterioramento. Troviamo quindi assolutamente inammissibile che nel bando del 14 marzo, tra i requisiti di partecipazione, si legga che i soggetti concorrenti non debbano “avere in corso né aver avuto occupazioni senza titolo in immobili di proprietà del Comune di Pisa”.
“Il Comitato – prosegue la nota – sta effettivamente portando avanti attività che coinvolgono il quartiere, esattamente nello spirito dei finanziamenti che avevano permesso la costruzione del casottino, con la finalità di realizzare un punto di aggregazione sociale. Il Comune lo ha invece sottratto al quartiere per sei anni, senza renderne trasparenti le motivazioni”.
Ma sono anche alltri due punti del bando ad essere sotto accusa
Da un lato i 6 mila euro annui richiesti all’associazione che riceverà in gestione la strutura: “Perché devono pagare dei cittadini che lavorano gratuitamente, per svolgere servizi sociali utili a tutti coloro che possono averne bisogno? Perché devono pagare dei cittadini che si preoccupano di gestire e tenere aperto uno spazio aperto a tutti, anche ad altri soggetti che intendono offrire gratuitamente i loro servizi? Perché è a questo che pensa il Comitato di Gagno. Perché è a questo progetto che sta lavorando. Ci chiediamo quanto l’Amministrazione si sia proccupata di mettersi in relazione con gli occupanti per capire cosa stia realmente succedendo”.
Un aspetto duramente contestato anche dal Comitato di Gagno che lo definisce “il bando dei ricchi”. “Seimila euro di deposito cauzionale – scrivono – altre migliaia di euro per due polizze assicurative e intestazione delle bollette e spese di manutenzione a carico di chi vincerà il bando. Questi sono i requisiti per cui noi, Comitato di quartiere composto per la maggior parte da disoccupati e precari, saremo già esclusi da una nostra partecipazione. Inoltre il bando rende ancora di più inaccessibile la partecipazione per una futura assegnazione per chi ha occupato immobili di proprietà comunale, stato in cui siamo attualmente e che ce lo rivendichiamo senza problemi. Il Comitato di quartiere Gagno è nato proprio dalla nostra precarietà permanente e ci riconosciamo in questa, per organizzarci e cambiare le nostre vite nella direzione del riscatto e della dignità”.
“Riteniamo – continua il Comitato – che sia opportuno avviare un processo di reale partecipazione che passi dalla legittimità delle iniziative che stiamo portando avanti e che coinvolga gli abitanti e le istituzioni qualora lo volessero. Ci stiamo attivando per formalizzare il nostro comitato e portare avanti le nostre proposte”.
L’altro aspetto contestato è la possibilità offerta di somministrare alimenti e bevande all’interno della struttura, che per Una città in comune “apre le porte alla trasformazione di uno spazio aggregativo solo in un bar, col mero scopo di ottenere proventi per sostenere le spese richieste dal bando. Tradendo così le finalità sociali dichiarate. E senza tener conto che l’idea di un nuovo bar è particolarmente avversata dagli occupanti”.
“Se si vuole davvero trovare un modo condiviso di gestire il casottino – conclude a lista civica – il primo passo è quello di ritirare il bando e aprire un reale confronto con il quartiere e i suoi abitanti, a partire dal Comitato che sta rendendo viva la struttura. Perché il primo obiettivo deve essere rispondere ai bisogni dei cittadini per i quali la struttura è stata realizzata”.