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GRAND-QUIGNOL! Sogni d’oro

Workcenter_the living room_ph Dani Coen_1

Il teatro secondo Sara ed Hengel (Teatro Cantiere)

Qualche tempo fa andando a vedere The Living Room del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards ho cominciato ad avere strani dubbi: “Hengel, com’è che si dice in inglese quando una persona ne perseguita un’altra seguendola e spiandola? Hai presente? C’è un termine specifico”.
Lui: “Sì, sì, ma non mi viene ora. Però adesso muoviamoci che cominciano!”

Rimango col dubbio ed entriamo nella sala, The Living Room, appunto, il salotto. Sembra davvero uno spazioso soggiorno con divani, sedie, poltrone, lampade, tavolini con frutta e pasticcini, cuscini, tappeti, abat-jour. Tutto. Non pensi di essere “a Teatro”, per niente.
Appena varcata la soglia Jessica Losilla Hébrail (una dei performer, o meglio “degli attuanti”, come ci dice lo stesso Richards) mi porge un foglio con parti di alcuni testi tradotti in italiano, che di lì a poco ascolteremo in diverse lingue. Mi dice: “Ciao Sara, voi due ormai lo saprete dal cuore questo testo”.
Ho un attimo di smarrimento. Quante volte abbiamo visto The Living Room? In fretta questi pensieri si dissolvono e sorrido alla geniale traduzione letterale dal francese all’italiano di Jessica (par coeur = a memoria, ma letteralmente sarebbe appunto “dal cuore”)!
E poi penso anche: però è vero, questo lavoro del Workcenter lo conosco dal cuore o meglio è qualcosa che mi passa dal cuore. E infatti quei testi che mi vengono dati non li so a memoria, li leggo, ma poi  non mi passano dalla testa, arrivano diretti al petto.

Passata la soglia, mentre tolgo il cappotto e appoggio sul tavolo la torta che ho portato, saluto tutti gli altri componenti del gruppo di Thomas Richards. Non sono affatto sorpresi nel vederci, anzi ci accolgono con simpatia: “Bentornati ragazzi, eravamo sicuri che sareste venuti anche stavolta!”
Ora basta. I dubbi si fan macigni. Continuo a riflettere e mi chiedo: non penseranno mica che siamo degli stalker? Eccola la parola, accidenti! Stalker! Ci son anche nel teatro quelli che ti seguono sempre e ti assillano, non solo nella musica o nel cinema. Oddio, davvero: quante volte abbiamo visto questa performance?! Mentre ci sediamo, io con la tazza di tè in mano, un po’ preoccupata chiedo: “Hengel, quante volte abbiamo visto The Living Room?” Risposta tranquilla: “…boh, una quindicina di volte? Non saprei…” (beve il caffè che gli viene offerto). Io, a voce bassa, mentre guardo in giro le altre persone che prendono pasticcini, scelgono dove sedersi e salutano conoscenti, dico: “Senti, non penseranno mica che siamo inopportuni a venire così spesso a vederli?” Faccia stranita. No, non ci aveva mai pensato.

Tutto d’un tratto un canto si insinua tra il chiacchiericcio, dolcemente arriva un silenzio caldo: iniziano. Senza esitare mi tuffo nel sogno, con loro.

 

Ricordo la prima volta che ho visto The Living Room, forse quattro o cinque anni fa, a casa di Thomas, in una casa vera, un vero salotto. Non troppo grande. Pochi invitati. Ho un lieve imbarazzo nell’essere così vicino a queste persone che non conosco ma che mi sembrano già familiari. Ricordo il frusciare dei vestiti vicino a me, i corpi, il sudore, le voci e i suoni potenti che mi arrivano al petto, alla pancia. Le azioni si susseguono fluide una dentro l’altra; ecco che appaiono immagini, ricordi, suggestioni. Un sogno si svela. Chiudo un attimo gli occhi. Sensazioni particolari e forti: vampate di calore, brividi di freddo, groppo in gola. Avrò la febbre? No. Sono loro. E’ la loro energia. Che sogno davvero sarebbe vederlo nel mio di salotto! Penso subito che lo vorrei rivedere. Come farne a meno?
Come fare a meno di quel brivido nella schiena, di quella vita, di percepire messaggi che arrivano solo a me (e di pensare ingenuamente e furbescamente: ehehe, sì quello sguardo era proprio per me e solo per me), di vedere lì rispecchiati i miei limiti così come le mie paure e gioie di uomo (inteso come specie), un essere umano che è al contempo fango e poesia, uomo e donna, vecchio e giovane. Perché quando vedo un lavoro del Workcenter so che avrò l’uomo davanti e non la recitazione. E quell’uomo sono anche io e anche voi. Tutti.
Ed è tutto talmente reale che quasi quasi mi ritrovo affezionata ad attori che hanno lasciato il gruppo (dalla prima volta in cui l’ho visto sono andate via un po’ di persone ed entrate nuove), alla canzone che cantavano, a quel pezzo specifico che mi dava i brividi. Al contempo mi è altrettanto facile affezionarmi “ai nuovi”, scoprire la loro vita, vederli in un certo senso crescere lì dentro. Mi sembra in qualche modo di conoscerli. E di conoscerli così profondamente che sarebbe quasi impossibile in un quotidiano rapporto di amicizia: la mia pancia ha fame di tutto questo, il mio corpo ed i miei sensi lo cercano con avidità… è forse questa roba da stalker? O forse sono necessità rare da poter soddisfare che vanno al di là dell’intelletto?

Ecco: The Living Room, anche a distanza di anni e di ripetute visioni, mi titilla le viscere, mi parla in modo diretto anche impietoso. E mi piace, mi piace vedere la vita che fluisce in quelle persone e che passa a me. Mi piace la loro carnalità, sentire le loro vibrazioni vocali ma non a livello virtuosistico, perché il virtuosismo è per la testa, è per chi ama masturbarsi il cervello. Qui la testa scende nella pancia e si riconcilia con la vita. Almeno per me.
Vedermi la vita vibrare davanti è quello che in fondo mi basta al di là degli intellettualismi, al di là di una trama e di un senso univoci cercati a tutti i costi. Tutto qui. Dovrei volere altro? Perché, non è già tantissimo questo? Un attimo di vita vera, pulsante…boom!
E poi tutto piano piano torna come prima, lentamente…
Sì, perché The Living Room è una di quelle esperienze che quando finiscono hai bisogno di un tempo tuo per riprenderti, non puoi subito parlare del più o del meno, ecco, hai bisogno che quel fruscìo che ti rimane nelle orecchie si dissipi un po’, di ri-accettare la quotidianità, gli altri, te stesso, quasi a far risalire verso la testa la razionalità che hai spinto nella pancia.
Un attimo. Sorriso ebete. Ce la posso fare. Con gli occhi furbi e divertiti di un bambino che gioca Thomas Richards mi porge un bicchiere con lo spumante, una fetta della deliziosa torta al cioccolato da poco tagliata in un’azione strabiliante. Accetto tutto. Lui mi sorride con una saggezza infantile: “Lo so”, sembra dirmi. Ahhhhhh, bene, questa è Vita!

Ed è così che mi accade di voler rivedere The Living Room. Ciclicamente. Ora capisco. Non è perché sono una stalker, piuttosto mi vengono in mente i bambini quando vogliono risentire la stessa fiaba, giorno dopo giorno, sera dopo sera. La conoscono a memoria però vogliono che gliela racconti di nuovo e proprio così come l’avevi raccontata la prima volta, col lupo che fa quella voce e dice proprio quella frase con le braccia alzate così. Vi assicuro che funziona anche da grandi! D’altronde non riascoltiamo forse le canzoni che amiamo milioni di volte, non rivediamo i film, le opere d’arte già viste?
E comunque Bradley High (un altro degli attuanti) ci ha assicurato che non pensano a noi come stalker, almeno così dice…

Credo quindi che non potrò fare a meno di tornare a vedere The Living Room quando sarà qui vicino, perché non potrò essere che lì, perché tutto questo mi piace e se a voi no, beh mi dispiace per voi, o per citare la frase che più mi hanno ripetuto da quando anni fa smisi di mangiare carne: “non sai cosa ti perdi”.
Io lo so.
E voi?

 

Foto di Dani Coen

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Scritto da:

Pubblicato il: 12 aprile 2014

Argomenti: Teatro

Visto da: 1801 persone

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2 risposte a: GRAND-QUIGNOL! Sogni d’oro

  1. avatar Daniele scrive:

    Complimenti per l’articolo. Molto interessante. Continuate cos

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