Cari lettori,
in questo nuovo appuntamento di InQuadriamo il diritto parleremo di mobbing.
Con questo termine (una derivazione del verbo inglese “to mob”) si fa riferimento ad una serie di condotte, sistematicamente persecutorie, tese a vessare il lavoratore e a rendere psicologicamente insostenibile la sua vita lavorativa.
La violenza psicologica e i comportamenti opprimenti o molesti si mescolano a condotte che – eventualmente anche lecite, se singolarmente considerate – vengono reiterate nel tempo e fatte con un preciso intento vessatorio, allo scopo di isolare il lavoratore da quello che dovrebbe essere un normale contesto lavorativo, di svilire la sua immagine personale e professionale, di impoverire il suo bagaglio di competenze e di conoscenze e, infine, di danneggiarlo sotto il profilo psico-fisico-relazionale.
Poco cambia, sotto il profilo finale, se le condotte mobbizzanti sono poste in essere dal datore di lavoro o, comunque, da un diretto superiore del lavoratore (in questo caso si parla di mobbing verticale o di “bossing”) o dai colleghi di pari grado del lavoratore (in questo caso si parla di mobbing orizzontale). In entrambi i casi, infatti, responsabile sarà sempre e comunque il datore di lavoro che, in base all’art. 2087 del codice civile, è tenuto ad adottare tutte le misure “necessarie a tutelare l’integrità fisica e le personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Attraverso il mobbing, nell’animo del lavoratore si insinua un stato di frustrazione, stress e disagio psicologico che può condurre a conseguenze anche molto importanti: il lavoratore potrebbe essere, ad esempio, spinto a dimettersi dal proprio posto di lavoro, perché ormai incapace di sopportare una situazione divenuta psicologicamente insostenibile, ma potrebbe anche sviluppare patologie psico-fisiche di non poca importanza, con tutte le immaginabili conseguenze sotto il profilo personale, familiare, relazionale e, non da ultimo, economico.
Non esiste un elenco preciso di attività che danno luogo a mobbing. Può, ad esempio, concorrere ad integrare gli estremi del mobbing il demansionamento ingiustificato, ossia la sottrazione, da parte del datore di lavoro, di alcune delle mansioni originariamente assegnate al lavoratore (anche detto demansionamento quantitativo: si pensi al dipendente che gestiva importanti rapporti con clienti esteri e che, di punto in bianco, e senza valide giustificazioni, si trova a lavorare soltanto con piccoli clienti locali) o la diminuzione della rilevanza e della qualità professionale di tali mansioni (anche detto demansionamento qualitativo: si pensi, ad esempio, al lavoratore che viene adibito ad attività semplici e ripetitive come fare fotocopie).
Ma la giurisprudenza ha dato rilevanza anche a tantissime altre condotte che possono dar luogo, in vario modo, a mobbing: si pensi ai richiami quotidiani e assolutamente pretestuosi del dipendente, alle sue umiliazioni pubbliche e continue, alle costanti e ingiustificate critiche al suo operato, al blocco improvviso del suo accesso ad internet o al computer d’ufficio, alla sottrazione delle sue dotazioni aziendali, come autovetture o telefoni cellulari, ecc.
Allo stesso modo, non esiste neppure un identikit preciso del soggetto che si trova a subire condotte “mobbizzanti”: a volte una persona è vittima di mobbing perché si è rifiutata di seguire determinate indicazioni provenienti dal suo diretto superiore, o perché ha segnalato qualche irregolarità rilevata sul posto di lavoro; altre volte, invece, la vittima di mobbing è tale solo perché si trova in una particolare situazione di debolezza.
Dal mobbing possono derivare vari tipi di danno. Si potrà avere un danno non patrimoniale (derivante dalla lesione di interessi, appunto, di natura non patrimoniale): si pensi, ad esempio, al danno biologico (è il caso del lavoratore che abbia sviluppato una patologia psico-fisica clinicamente accertabile) o al danno da lesione dell’immagine professionale o della dignità personale. Si potranno, inoltre, avere danni di natura patrimoniale che potranno, a loro volta, qualificarsi come danno da mancata retribuzione, danno da perdita di chance di carriera, danno da impoverimento del proprio bagaglio di competenze professionali ecc.
In Italia si è cominciato a parlare di mobbing come vero e proprio fenomeno sociale intorno agli anni duemila, ed oggi, anche grazie ad una significativa evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia, il fenomeno è meno diffuso rispetto a dieci o quindici anni fa. Tuttavia, i casi di mobbing sono ancora molti, e spesso assumono caratteristiche più sfumate e “subdole” rispetto al passato: è, quindi, importante che i lavoratori, ma anche i loro amici e familiari, sappiano riconoscere in tempo i “campanelli d’allarme” relativi ad una situazione lavorativa che, a volte, normale e serena non è.
Vi aspetto alla prossima!
Francesca Bonaccorsi