Amor non muta in brevi ore o settimane,
ma resiste, persiste fino al giorno estremo del giudizio.
William Shakespeare, Sonetto 116
Se amate i film sui vampiri avrete trovato in assoluto il più originale.
Se amate il film sull’amore, rimarrete esterrefatti dalla delicata sensualità decadente.
Se amate Jarmusch godrete di due ore di immagini splendide e di cinema con la C maiuscola.
Bella prova davvero per l’eccentrico regista indipendente.
Ma partiamo dall’inizio, un inizio che non può non colpire, perché ci cattura e ci sospinge con la violenza del movimento a una visione “guidata”. Sulle belle note di “Funnel love”, la macchina da presa ci presenta Eve e Adam – nei nomi sta quella passione travolgente e ancestrale – ma lo fa con maestria da giostra, dall’alto di una ripresa a piombo iniziando a girare. Eccoli: sono bellissimi. Lei, fasciata da stoffe arabeggianti, occhi chiusi, rilassata nel bianco della sua carne albina. Lui, un po’ più eccentrico nella postura, abbraccia la sua chitarra mentre si sdraia su un divano sdrucito. Lo sguardo gira con un ritmo ascendente – e lo stomaco anche – e le spirali si congiungono al cerchio delle stelle iniziali, così come al cerchio del giradischi. Le inquadrature sono quadri, studiate e patinate, bellissime nella loro perfezione naïve.
Eve e Adam sono due vampiri ma non hanno niente di ciò che di brutto hanno i vampiri. Sono lontani, distanti da chissà quanti anni, visto che il loro terzo matrimonio l’hanno siglato a metà del XVII secolo. Lui a Detroit, città malinconica e depressa, in notturni poetici e quasi surreali. Lei a Tangeri, in un’atmosfera da “Le mille et une nuits”, come il bar che frequenta per rifornirsi di sangue. Si amano follemente e per questo si rispettano e si “liberano” nella distanza spaziale. Sono due vampiri moderni che bevono solo sangue scelto e sicuro, smerciato da medici corrotti.
E noi, noi spettatori, siamo con loro, tifiamo per loro. Tutto il mondo, lasciato fuori con coscienza, è fatto di “zombie”, gli uomini, che muoiono nella loro vita inutile. Uomini che si distruggono, che non hanno rispetto per la natura e l’ambiente, per gli altri. Il film è un omaggio alla musica, all’arte, al cinema, alla letteratura. Uno splendido John Hurt , è l’amico vampiro incarnato in Christopher Marlowe – il vero autore di Amleto al posto di Shakespeare, a dirla con Jarmusch.
Si citano scienziati, poeti e letterati – anche quelli non sempre scontati, come Mary Wollstonecraft – e i medici hanno fantomatici nomi come Dr. Faustus e Dr. Watson. Si citano anche due italiani: Fibonacci e Ariosto. Tutto sa di cultura, di sapere, le piante e gli animali appellati con i nomi latini, le pagine lette per magia da vampiro sotto il tatto delle mani.
Le scene della cibazione attraverso il sangue, servito in eleganti bicchieri di cristallo, sono strepitose. I sorrisi, dai canini appena spuntati, il sangue che risplende sul bianco di faccia e l’estasi allucinatoria sembrano una festosa e ipnotica favola.
Il film è un mosaico di silenziosi indugi lasciati solo alla splendida fotografia. Come non rimanere colpiti dal nudo dei corpi intrecciati di Tilda Swinton e Tom Hiddeston? Sempre dall’alto, l’occhio spia tale bellezza, nel bianco perlaceo delle carni, ce la mostra con la migliore angolazione, con la migliore luce. E noi, dalla nostra posizione privilegiata, non possiamo che goderne: le immagini si fanno poesia, nella loro dolente ed estenuante ostentazione.