Tutti li abbiamo avuti almeno una volta. Siòri e siòre, giacché siamo in pieno week-end, parliamo dei nostri fidati compagni di inizio settimana: i postumi.
E’ estate, fa caldo, la gente esce e insomma dai, ‘na birretta, un aperitivo, ma già che ci stiamo pure un paio di mojiti che sono belli freschi, eh ma non mi piace bere troppi coktail, vabbè allora dopo ci facciamo un’altra birretta per togliere il sapore e chi s’è visto s’è visto.
Serate che finiscono di mattina, sandali disfatti e piedi spesso impolverati o appiccicaticci di roba dall’odore di fragola e vodka. Ah, i giovini d’oggi. A letto con il sorriso e la testa piacevolmente leggera.
La mattina dopo.
I topi morti in bocca.
Gli occhi che per aprirli ci vuole il piede di porco.
Capelli impiastrati.
Rombi de panza.
Gola secca.
Ballerini di tip tap in testa, affiancati dai tamburi delle rievocazioni storiche, inseguiti da scimmie urlatrici che suonano la batteria con le mazze da baseball.
La sottile ma fioca speranza di non aver detto o fatto qualcosa di disdicevole.
Lo strisciante terrore di diventare genitore.
E soprattutto, afasia. Totale. Anzi no, peggio, afasia intervallata da grugniti.
Se la mattina dopo è un giorno festivo o non lavorativo, la soluzione la sappiamo: letto, acqua, doccia, acqua, letto, qualcosa da mangiare, acqua, letto e via. Se non come nuovi, sicuramente ben stuccati.
Ma se il giorno successivo è feriale, allora il postumo diventa una tragedia raccapricciante.
La sveglia è peggio di una rivoltellata in un orecchio.
Il letto si è appolipato intorno alle braccia, al collo e ai polpacci. Uscirne è un’impresa, e fa pure piangere un po’.
Lo stomaco è vuoto e incazzato, ma più giù arriva forte e chiaro il segnale “Qui sotto non abbiamo più posto, non mandate nulla se volete evitare fissioni nucleari”.
La testa…la testa? Ti riferisci a quella palla medica che ho sul collo e che fa il rumore di Jumanji?
Sì, quella.
Le relazioni sociali si riducono a conversazioni tribali, con l’antica lingua dell’homo abilis in grande spolvero.
– Buongiorno!
– BGRNGGGGHHH.
– Stavamo andando a fare colazione tra colleghi, ti unisci?
– NOGRZ, MISNTO ‘MPDISTURBT D’INTESTN[BURP]
– Seratona ieri, eh?
– EHNZOMM’.
– Va bene dai, ci vediamo in ufficio tra poco.
– VBNCIAO.
E la giornata lavorativa improvvisamente si allunga da otto a diciotto ore. Uno stillicidio di Oki, massaggi alla tempia – utili tanto quanto aprire il cofano della macchina, soffiarci dentro e sperare che riparta – stropicciamenti oculari e la sensazione opprimente di dover andare in bagno, ma senza poter dare il giusto sfogo al peso gravoso che attanaglia l’apparato escretore (risultato: niente bagno, ulteriore sofferenza, ulteriore massaggio alla tempia e Oki).
Finita la pausa pranzo, però, il corpo sembra rispondere un po’ meglio.
La lingua ricomincia a battere regolarmente sui denti e si arriva a formulare frasi oggettive come “Boia com’ero da tira’ via ieri sera”. Si riacquista un po’ di amicizia da parte dei colleghi che giustamente vogliono sapere tutto della serata, ma a cui inspiegabilmente basta il “Non me lo ricordo” per ridere di gusto.
Insomma, la giornata si conclude. Le scimmie urlatrici, insensibili ai miracolosi massaggi, ancora battono i piatti sulle tempie, le gambe sembrano comunque un paio di residuati bellici ma tutto sommato ora si torna a casa, si mangia una cosetta leggera, si va a letto presto e il giorno dopo si torna in pista senza nemmeno un’ammaccatura. Una prospettiva paradisiaca.
– Oh, bene! Allora a domani ragazzi, vado che ho proprio bisogno di dormir…
– No, no, no! Te non vai da nessuna parte, non te lo ricordi che oggi c’è la cena aziendale offerta dal direttore?
– …ehm…no, non me lo ricordo.
– [scoppi di risa]
– Eh, lo immaginavamo. Dai su, è programmata da un sacco, poi dice che porta un vinellino bòno bòno dal Chianti che guarda…
– No vabbè, dai vengo, però non penso di ber…
– Ma se non brindi il direttore si offende. Siamo in tempo di crisi, se devono licenziare qualcuno da chi pensi che cominceranno?
– Allora però solo un sorsino leggero, proprio una lacrima.
– Sì, sì, tranquillo. Ci pensiamo noialtri a te.
Cosa ne sia stato del malcapitato, nessuno lo sa.
Perché nessuno è mai riemerso dal baratro del Postumo sul Postumo.
Alessia R. Terrusi