Samus Aran non è la prima eroina della storia dei videogiochi. Ma è una delle più importanti. Laddove le sue compagne di scuderia Nintendo (tutte principesse da salvare, mentre Samus è un fracco proletaria e vive, da cacciatrice di taglie, quasi ai margini della legge) hanno dovuto aspettare anni prima di poter diventare personaggi giocabili, Samus ha salvato l’universo tutta da sola, sin dall’inizio delle sue avventure. E l’ha fatto barando ben due volte nello stesso gioco (Metroid): prima celata da una tuta spaziale, e alla fine del gioco mostrando le curve.
Non era chiaro se al giocatore fregasse o meno in quali bagni avesse diritto a entrare Samus, ma il manuale d’istruzioni era deliziosamente ambiguo a riguardo. Fu così che la guerra tra i sessi cambiò per sempre, e Lara Croft si sarebbe trovata la strada spianata un decennio dopo. Già, perché Metroid era anche una riuscitissima miscela tra azione ed esplorazione, dotato di grande atmosfera e saggio uso delle sue limitate risorse.
Tutti i suoi seguiti hanno cercato di riproporne molte delle premesse (la ragazza s’infiltra nei meandri di una struttura zeppa di fauna aliena, e ne esce vincitrice dopo aver recuperato numerosi potenziamenti modulari), con alterni risultati, dal momento che Samus non è una di quelle icone che puoi riciclare con disinvoltura. Molti si sono infatti affezionati ai capitoli della saga che maggiormente coniugano rispetto per l’immaginazione (e il tempo) del giocatore e identificazione diretta e totale con la protagonista. Al momento della sua uscita, Metroid: Other M è sembrato quindi una vera e propria bestemmia urlata alle orecchie degli aficionados.
Sgombriamo subito il campo da equivoci: sì, la trama del gioco svolge in maniera piuttosto noiosa e imbarazzante (e para-sciovinista) lo spunto narrativo (davvero ganzo) di una Samus affetta da stress post-traumatico dopo gli eventi di Super Metroid. È inoltre vero che alcuni dei più importanti tentativi di svecchiare la struttura di gioco (soprattutto il cambio di presa al controller necessario per mirare e cercare indizi con la visuale in soggettiva) possono risultare indigesti anche ai non appassionati. Però c’è del sincero coraggio in quest’operazione, che quando si ricorda di essere un gioco scorre liscia, aliena e inquietante al punto giusto, e la figura di Samus non ne esce del tutto sputtanata. Anzi, per effetto di un progressivo intopamento deciso dai giapponesi qualche Metroid addietro, le sembianze e le movenze di Samus, da sempre una via di mezzo tra Neil Armstrong e un giocatore di football americano, sono oramai ninjesche e feline al punto giusto.
Se per i fan di Metroid cambiare è male, non tutto il male vien per nuocere. E dopo decenni di protagonisti che si sentono dare del maiale se cercano di entrare nei bagni delle donne, è un piacevole tocco di classe che, sull’astronave Bottle Ship, Samus non possa entrare in quello dei maschietti.
Tommaso Mongelli
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