È difficile spiegare in maniera esaustiva il concetto di “inadeguatezza”. Si possono citare vari esempi come l’elefante nella cristalleria, il pesce che prova a volare, Berlusconi alla premiazione dei Nobel, Er Monnezza alla settimana della moda milanese…
…ma forse ce n’è solo uno che rende veramente l’idea: l’Homo di mare che va in montagna.
E non viceversa. Perché il montanaro, dopo il primo collasso cardiaco, lo capisce che deve togliersi gli scarponi e la tuta imbottita, e piuttosto buttarsi in acqua che provare a scalare le dune con gli sci.
L’Homo marittimo no. E lo rivela già al momento dei preparativi. La valigia è a fiori, e dai lati spunta il boccaglio perché ha sentito dire che in un canyon profondo ottomila piedi e non segnato sulle mappe c’è un laghetto limpido limpido. E che fai, non lo guardi?
Dentro la valigia, uno spettacolo floreale di magliette, canottiere, cappelli di paglia, costumi, creme, calzoncini, pinne, bocce e un animatore trafugato l’anno prima nel campeggio in Salento. Che se ti piglia una botta di malinconia sai subito come tirarti su.
Racchettoni, immancabili compagni per i giochi di società che senza dubbio alcuno saranno allestiti tra un rifugio e una pista per boy-scout qualunque. Cellulare, I-phone, I-pad, I-pod, pc, una borsa di caricatori che se ti fermano ti arrestano per terrorismo elettromagnetico, e Topolino. Arriviamo a I Classici Disney, se il vacanziero vuole proprio tenersi particolarmente impegnato sotto l’ombrellone. Ombrellone che tuttavia non si porta dietro, perché insomma, va bene che siamo in montagna, ma ti pare che quando il sole è alto non te lo aprono sulla verandina insieme a un paio di sdraio?
La tenuta per le escursioni consta di una borsa di tela abbastanza capiente da contenere una Settimana Engmistica, biro cancellabile inclusa, un Sudoku, la Gazzetta (o Chi, a seconda dei sessi) e una boccetta da mezzo litro d’acqua. Nonché, con animo spietatamente candido, asciugamano intorno al collo, occhiali da sole a specchio e pallone bianco sotto il braccio a mo’ di cocomero. Di quelli che se per sbaglio starnutisci finiscono a largo e vengono intercettati giusto dagli equipaggi delle petroliere turche.
Ma soprattutto loro, le infradito.
Le immancabili ciabatte col dito asociale che sono programmate per scollarsi tassativamente a metà vacanza. Sei lì sul litorale e a un certo punto senti qualcosa che ti trattiene il piede. Toh, è l’infradito senza più il pirulino per l’alluce attaccato alla suola, ma che simpatiche brighelle questi della De Fonseca, eh? Vabbè poco male, c’è giusto il negozietto qui dietro.
In montagna no. Il negozietto qui dietro può venderti caciotte e salsicce, magari un paio di tende canadesi, sottaceti, funghi, zanne di mammut, le infradito no. Non è etico. Forse neanche le conoscono, dalla Pianura Padana in su.
Ma l’Homo marittimo se ne frega e quantèvveroddio ogni mattina uscirà sul terrazzo del residence in Trentino con felpa munita di cappuccio (chehadovutocomprarelì), pantaloni di fustagno multitasking (chehadovutocomprarelì), calzettone doppio misto lana bufalo al ginocchio (chehadovutomiaveteinteso) e infradito di paglietta con omaggio di piede blu cobalto prossimo all’ipotermia.
Mai, mai nella vita si abbasserà a comprare delle calosce o degli scarponi da trekking. Come la pastasciutta per gli italiani, i sandali con i calzini dentro per i tedeschi, la baguette sotto l’ascella per i francesi, così le infradito sono un marchio etnico per la macrocategoria dell’Homo di mare. Ovunque vada, non vi rinuncerà mai. E non è un cliché, è semplice inadeguatezza.
Alessia R. Terrusi