Inaugurata la mostra, la vicenda dei quadri sottratti e poi recuperati del Museo Nazionale di San Matteo non si è chiusa.
Il Ministero dei beni culturali ha infatti predisposto un’ispezione amministrativa per verificare i fatti e accertare eventuali responsabilità interne al museo.
Un decisione che arriva a oltre un mese dall’annuncio del ritrovamento delle opere – dieci delle dodici sono state riportate a Pisa, due restano a Parigi in attesa che la rogatoria internazionale con la Francia concluda il suo iter.
Mentre la giustizia penale fa il suo corso, resta da fare luce sulla domanda “principe” di questa vicenda: come è possibile che in questi dieci anni non ci si sia accorti che all’appello mancavano dodici opere? Con le fatture pagate per tutti i dodici restauri e con verbali di riconsegna relativi a sole quattro opere?
A queste domande proverà a rispondere l’ispezione prevista a breve dal Mibact, che per ora non si esprime sull’eventuale possibilità di intraprendere azioni civili: tutto è rimandato all’acquisizione delle informazioni attraverso l’atto ispettivo.
L’allora direttrice del museo Maria Giulia Burresi, oggi in pensione, subito dopo l’annuncio del ritrovamento delle opere si è trincerata dietro un “non ho niente da aggiungere. Ciò che dovevo dire l’ho riferito nel corso delle indagini”. E l’unica risposta che abbiamo ottenuto nel tentativo di capire come funzionano le procedure di controllo in casi simili è che “esiste il personale addetto a queste mansioni”.
Per l’ex direttrice nessuna responsabilità penale, specificano dalla Procura. L’unico su cui pende un’accusa è il restauratore lucchese Marco Gazzi, a cui è contestato il reato di appropriazione indebita per cui, visto il lungo lasso di tempo trascorso, la prescrizione è ormai scattata.
A stendere la relazione sulla vicenda l’attuale direttore del Museo di San Matteo Dario Matteoni che, ci spiega, “metterà in evidenza le problematicità emerse in questa vicenda”. Dove per problematicità si intende un mancato controllo che si è protratto a lungo nel tempo: nel 2002 le opere vengono date in affidamento per i restauri, tempo di consegna previsto un anno. I lavori si protraggono, ma al momento della restituzione solo quattro opere vengono restituite, anche se i lavori sono interamente pagati.
Ma l’anomalia non riguarda solo un mancato controllo, che per i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Firenze nulla ha a che fare col dolo quanto piuttosto con la ”leggerezza”.
Un iter standard, spiega Dario Matteoni, “non prevede l’uscita di un numero così alto di quadri verso un unico restauratore”, tanto più che il contratto prevedeva la chiusura degli interventi entro un anno. “Tempi così brevi di riconsegna – continua Matteoni – presuppongono almeno l’individuazione di più restauratori”. Inoltre, spiega, di prassi “si fanno sopralluoghi per verificare lo stato di avanzamento dei lavori. E con la restituzione dell’opera si salda il dovuto”.
Non a caso la direttrice della Direzione regionale dei beni culturali della Toscana Isabella Lapi ha parlato di “situazione anomala” e di un caso che mai nella sua carriera aveva visto.