È l’allestimento che colpisce e che rimane particolarmente impresso della mostra fotografica Cortona on the Move. Senza togliere nulla alle fotografie, che sono tutte ben scelte e belle a seconda della sensibilità di chi le guarda, bisogna anche ricordare che l’allestimento in una mostra è (quasi) tutto. Infatti mi sono chiesta se l’eccezionale allestimento mi avesse distratto dalle fotografie, e forse inizialmente lo ha fatto, perché entravo in ogni nuova stanza e prima di guardare le foto correvo ad affacciarmi alla finestra che dava sui tetti di Cortona e il Lago Trasimeno, oppure andavo a visitare il giardino della Fortezza, o ancora notavo l’attacco per l’ossigeno nel vecchio ospedale. Ma poi comunque tornavo lì, alle fotografie, per notare che anche quelle erano state trattate con gran cura a partire da certe cornici o da quelle senza cornici incollate direttamente alle pareti.
COTM non è una mostra enorme, in una giornata e con calma la visiti tutta arrivando tranquillamente nella cittadina in provincia di Arezzo alle 11.00 di mattina e prendendo tutto il tempo per un pranzo e un aperitivo perché a Cortona si mangia e si beve bene. Il problema maggiore di COMT è Cortona, che è tutta in salita, o discesa; e in salita fatichi e in discesa rischi di scivolare e farti male.
La Fortezza di Girifalco è proprio in cima al paese, nel punto più alto e per arrivarci c’è una vera Via Crucis con tutte le Stazioni rappresentante da mosaici di Gino Severini (il pittore futurista infatti era nato a Cortona). La fortezza risale al 1500 ed è solo in parte ristrutturata; i saloni sono vuoti e freschi e le porte sono aperte su giardini segreti e su camminamenti su cui è molto pericoloso appoggiarsi alla ringhiera.
Due qui le mostre che mi hanno particolarmente colpito (sono 5 in tutto).
Una è quella di William Albert Allard Portraits of America. È nei sotterranei della fortezza e sono enormi fotografie a colori del variegato popolo degli Stati Uniti: cowboy, Amish, cantanti blues, giovani vacanzieri nei grandi laghi. William Albert Allard è un grande vecchio della fotografia americana, è nato nel 1937 ed è uno dei pochi fotografi della sua generazione ad avere un portfolio praticamente tutto a colori. Ha lavorato più volte per il National Geographic e per Life; spesso scriveva anche gli articoli dei suoi reportage. È famoso per essere stato uno dei primi a riuscire a fotografare in modo così intimo la comunità Amish per la quale farsi fotografare è considerato vergognoso. Allard è un fotografo di persone e dice che per fare questo lavoro “you have to care“, ci devi tenere, le persone ti possono piacere o stare antipatiche, ma devi partecipare.
L’altra è di Martin Weber e si chiama A Map of Latin American Dreams e forse è la mostra più bella di questo COTM. Lui è argentino-cileno ed è nato nel 1968; dal 1992 al 2008 ha girato vari paesi dell’America Latina e chiesto alle persone di scrivere il loro desiderio su una lavagnetta e poi le ha fotografate: ci sono bambine messicane che vogliono fare le poliziotte, nonne argentine che vogliono sapere che fine ha fatto un loro caro, anziani benestanti che desiderano vivere il più a lungo possibile per stare con la loro famiglia, un cubano che vuole diventare poeta. Anche le sue foto sono enormi ma tutte in bianco e nero e fanno venire la pelle d’oca.
Dopo aver ammirato la vista dal punto più alto di Cortona cercando di non perdersi per le varie rughe (così si chiamano le stradine lì) si arriva alla Chiesa di Sant’Antonio. La chiesa è sconsacrata e con la navata centrale molto ampia senza le panche. La mostra Arrivals and Departures di Jacob Aue Sobol è allestita nelle due navate laterali, nel coro rivestito di legno e con vetrate istoriate e sui confessionali. Arrivals and Departures racconta un viaggio lungo la ferrovia Transiberiana attraverso fotografie in bianco e nero molto contrastate. Aue Sobol, danese nato nel 1976 nel raccontare il suo progetto riprende lo stesso approccio di Allard e dice infatti: “La mia ambizione non è quella solo di guardare, ma di partecipare alla vita. (…) Se vedo qualcuno dall’altra parte della strada che gioca a calcio, mi viene subito voglia di giocarci insieme invece di guardare e basta. Non ho mai trovato interessante guardare qualcuno dall’altra parte della strada, o essere un fotografo invisibile”.
Ruga Piana 60 è l’indirizzo di una casa. È su tre piani con scala stretta ed è abbandonata e decadente. Al secondo piano ci sono dei bellissimi pavimenti originali, quelli con i disegni esagonali, mentre al piano di sopra delle orribili piastrelle moderne; ci sono i vetri vecchi alle finestre, quelli che quando ci guardi attraverso deformano; sui muri due mostre di due fotografi polacchi.
L’Ex Magazzino delle Carni è un enorme stanzone con la volta altissima e le pareti che si sgretolano. Accanto alle fotografie di Alvaro Laiz Transmongolian: The Secret History of the Mongols dipinte sul muro ci sono gli scudetti e le coppe che ha vinto il Milan, nel centro delle vecchie poltrone, nella piccola stanzina appoggiata per terra un’immagine della Madonna. Le poltrone ci stanno bene, qui dentro c’è fresco ed è un bel posto dove fermarsi e riposarsi un po’.
E per ultimo il Vecchio Ospedale. La mia visita in realtà è partita da qui, ed anche se è stato un caso forse è stata la scelta migliore perché nel Vecchio Ospedale c’è il maggior numero di mostre: dodici più quella esterna delle foto di viaggio dei lettori di Repubblica. Conviene arrivarci riposati quindi. Il Vecchio Ospedale è proprio un vecchio ospedale con gli attacchi per l’ossigeno, i cartelli con i nomi dei reparti, i lavandini nelle corsie, i muri tristi, le piastrelle per terra; e anche le grandissime vetrate e la vista sui tetti.
Tra le mostre che ho apprezzato di più c’è quella di Mateusz Sarello Swell, uno dei cinque vincitori del Circuito Off (una call per i giovani talenti della fotografia a cui hanno partecipato 593 fotografi da tutto il mondo), che documenta il suo viaggio nel Mar Baltico durante il quale la fidanzata lo ha lasciato e il reportage ha preso tutta un’altra piega. Le foto sono in bianco e nero, anche questa volta con forti contrasti che ricordano quelle di Jacob Aue Sobol.
Altra mostra collettiva nelle stanze dell’Ospedale è quella che si chiama Goin’ Mobile e come dice il titolo sono foto fatte col telefonino e pubblicate sul social network Instagram. Anche questa volta il numero dei fotografi è cinque e non sono instagrammisti della domenica ma veri fotografi professionisti chi più chi meno. I miei preferiti: Alec Soth con Unselfing – un lavoro sulla mania dei selfie in cui il fotografo oscura il suo viso e dice “Una volta su Instagram mi è venuto il desiderio di fotografarmi. Perché? Questa era la domanda fondamentale. Volevo una fotografia di me stesso così a qualcuno là fuori sarei piaciuto (avrebbe messo un ‘mi piace’). Indispettito da questo desiderio ho cancellato la mia faccia (ma desidero comunque piacere alla gente).”
David Guttenfelder con A window on North Korea – uno dei primi reportage sulla vita di tutti i giorni della Corea del Nord. Ben Lowy con Walkscapes che ha sovrapposto immagini di strade cittadine creando così delle nuove fotografie che sembrano quadri astratti. Nomino anche The Sochi Project An Atlas of War and Tourism in the Caucasus di Rob Hornstra e Arnold Van Bruggen soprattutto per l’esaustività del loro lavoro.
Per concludere segnalo che ci sono alcune foto enormi sui muri esterni che fanno parte della mostra China di Mathias Braschler e Monika Fischer; e forse le uniche fotografie non digitali perché scattate quando il digitale non c’era, Carlo Lovari Viaggio in Famiglia, nella COTM Zone che è dove si compra il biglietto e c’è il negozio ben fornito di libri di fotografia.
Il Cortona on the Move si può visitare fino al 28 settembre.