Non sempre la firma autorevole è sinonimo di bel film. Francamente, di questo, ne facevamo anche a meno. Forse, però, a Woody Allen piace viaggiare e, approfittando del suo girovagare per l’Europa, ci casca anche un altro film.
Magic in the moonlight. Siamo in Francia, tra la Costa Azzurra e la Provenza. E se togliamo le belle immagini dei paesaggi francesi, firmate da Darius Khondji, cosa rimane per far parlare di bel film? La scrittura – pur nel genere tipico della commedia con leggero humor, nemmeno tanto inglese – appare rigorosamente perfetta-, così come l’interpretazione attoriale di Colin Firth ed Emma Stone – a parte la sua espressività caricaturale degli occhi da cartone animato giapponese. Forse fin troppo: la scrittura gioca nel fascino delle ripetizioni e dei giochi linguistici e l’interpretazione risulta quasi artificiale. Cosa, però, non va proprio? Il tentativo di trasportare sul grande schermo una storia che di cinematografico ha ben poco. La macchina da presa, sottostimata, non si sente, non si vede. A teatro la storia avrebbe anche retto bene, ma al cinema diventa un mattone di noia e, in alcuni momenti, al centro per l’esattezza, funziona anche come soporifera commedia che di divertente ha due sole battute.
Wei Ling Soo, dal nome e dagli abiti cinesi, è un prestigiatore inglese che si chiama Stanley Crawford. Burbero, ruvido, ambizioso e presuntuoso, lotta contro tutti i cosiddetti ciarlatani (medium, maghi, impostori in genere), risultando decisamente odioso fin dalla seconda scena del film. A lui viene chiesto di indagare sulla medium Sophie Baker, ospite della ricca famiglia Catledge assieme alla madre. Da subito è chiaro tutto quello che succederà: nemmeno l’illusione di una sorpresa, di un momento di titubanza (trenta secondi per convincere Stanley ad accettare l’incarico); la bellezza della ragazza viene ostentata a più riprese, capiamo immediatamente che ci scapperà un bell’innamoramento. Ma alla fin fine di cosa si vuol trattare con questo film? Che il razionale, il rigoroso, il cinico sottostà alla magia del sentimento? Che l’amore vince sulla ratio? Che all’amore non si comanda? Davvero non si capisce molto il tentativo.
Di romantico non c’è che la banalità. Il romanticismo, a nostro avviso, è ben altro. Il film assomiglia a troppi film – suoi – e non ha proprio niente che spicchi nell’eterna commedia scontata e modesta. Forse, allora, era troppo bello Midnight in Paris per far apparire questo accettabile. E la musica, la scenografia, i costumi (bellissimi gli abiti femminili) non sono sufficienti a salvare il film.