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Lenticchie Cinquantasfumature, (non) l’ho visto e (non) l’ho recensito

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Nel sottobosco di interpretazioni che il film ha suscitato non si è parlato del titolo, che ha causato un trauma linguistico di cui stiamo sottovalutando la portata


(Non) ho visto cinquantasfumaturedigrigio e (non) l’ho recensito.
E soprattutto, non ho alcuna intenzione di farlo. Ecco. Perché, come si suol dire, dieci euro di biglietto per vedere ‘sta boiata l’avete a spende’ voi.

Tuttavia ammetto di esserne stata tentata, per un periodo. Anche solo per capire il motivo delle sagre della masturbazione che si sono tenute in sala, o forse per quell’innato spirito voyeuristico che ti attira allo schermo ogni qualvolta ci sia odore di sesso. Ma mi sono bastate le recensioni.

Tante recensioni.
Una valanga di recensioni.
Uno tsunami di falangi che ticchettano sulla tastiera in maniera più o meno stizzita, divertita, analitica, scandalizzata eccetera.

La popolazione dei recensori si divide in tre fasce:
I ridicolisti, che tendono a calcare la mano sul labbrino mordicchiato della protagonista, sulla sua sfiga di lavorare alla bottega dello Svitol e sull’incomprensibile preferenza di Mister Gréi per una gnagnetta sciapa e pure un po’ frigida.
I dietrologisti, che leggono nelle evoluzioni di Lui&Lei una vittoria dell’amore sul sesso, della semplicità sul lusso e, ovviamente, della femmina sul maschio. Senza tralasciare una certa compiacenza nel notare come, dopo il sesso, tutti i maschi si fanno carucci carucci e ti regalano le macchine. Eccerto.
I realisti, finalmente. Che hanno cominciato a scrivere la recensione già in sala, subito dopo l’uscita poco felice di Mister Gréi che, ricordiamolo, non fa l’amore. Lui. Scopa. Forte. Per poi giustamente notare che se tutto l’ambaradàn di dilatatori, manette e frustini l’avesse messo sul piatto un impiegato delle poste e non un riccone, la mesta protagonista del film avrebbe continuato a distribuire brugole e martelli.

In tutto questo sottobosco di interpretazioni l’unica cosa di cui non si è parlato è il titolo.
CINQUANTA. SFUMATURE. DI. GRIGIO.
Che ovviamente allude alle varie tonalità di depravazione di Mister Gréi, (il Grigio, per l’appunto).

E che però hanno causato un trauma linguistico di cui stiamo sottovalutando la portata.
Tu vai in un negozio e chiedi a una commessa di portarti quel cappotto, grigio.
(E già parte qualche risolino)
La tonalità di mezzo, grazie.
(La ragazza inizia a sventolarsi con le mani)
Non quello argentato né quello color piombo.
Quello nel mezzo, appunto.
(Scalpita e, oddiomionò!, si sta mozzicando il labbro)
Ehm…sì, la sfumatura di grigio nel mezzo.

Ed è un attimo che la commessa ti lancia in faccia tutto il reparto invernale e va a bendarsi coi calzini di spugna e ad autosollazzarsi coi manichini.

E tu stai lì con in fronte il segno dei bottoni del cappotto.
E al di là di ogni colore che può assumere la demenza, l’unica cosa certa è che quel maledetto mister Grigio ha rovinato per sempre una parola bellissima, Sfumature.

E per questo io non è che lo disprezzo. Io. LoOdio. Forte.

Alessia Terrusi

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Pubblicato il: 8 marzo 2015

Argomenti: Cinema, Lenticchie, Quaderni

Visto da: 872 persone

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