La domenica della vita: la storia dell’arte nell’era di Twitter
di Lorenzo Carletti e Cristiano Giometti
Il recente Studio sulle dinamiche turistiche del Comune di Pisa, elaborato dal Centro ricerca ASK – Università Bocconi per conto del Comune e della Fondazione Pisa, merita di essere letto con attenzione, anche se i primi dati non fanno che confermare una storia già tristemente nota: la piazza del Duomo attrae 2,5 milioni di visitatori l’anno, il resto della città è sostanzialmente “invisibile”. È forse a causa della scarsa visibilità del centro storico che gli amministratori hanno preferito lasciare i suoi monumenti in stato d’abbandono? Niente si è fatto per la manutenzione programmata degli edifici storici né per la tanto declamata “valorizzazione”, mentre i cantieri PIUSS procedono (con qualche ritardo) alla ricerca della loro futura utilità.
Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo ha drasticamente ridotto, fin quasi all’azzeramento, le risorse per manutenzione e restauri
Contemporaneamente, l’amministrazione comunale e l’ex Prefetto FrancescoTagliente hanno cercato di dichiarare lo stato d’emergenza del patrimonio cittadino per delegarne la “minima manutenzione” a una task-force di volontari, che avrebbe dovuto anche rintracciare e gestire i finanziamenti per gli interventi. Ciò era in palese contrasto con le norme sulla tutela dei beni culturali – di stretta competenza del Mibact –, con quelle sul lavoro e persino con la Magna Charta del volontariato della Regione Toscana; dunque, nonostante il dispendio di energie e i reiterati tentativi di rilanciarlo, l’accordo non ha avuto seguito (ma neanche è stato revocato). Dove trovare allora i soldi, dentro e fuori l’emergenza?
Il chiostro di San Francesco da quattro anni minaccia il crollo
Vale la pena rileggere le parole pronunciate allora dal presidente della Fondazione Pisa Claudio Pugelli: “Come di consueto la Fondazione deve ricevere dal proprietario del bene quale soggetto richiedente […] un circostanziato progetto esecutivo dell’opera di restauro. Una volta ricevuto il progetto esecutivo completo della analitica evidenza dei costi da sostenere, la Fondazione eseguirà con i propri tecnici una rapida valutazione di merito del progetto stesso, tenuto conto della complessità dell’intervento da realizzare, e comunicherà tempestivamente alla parte richiedente se e in quali termini la proposta è accolta o meno. In caso di esito positivo, cioè di parziale o totale accoglimento della richiesta, la Fondazione Pisa sottoscriverà con il soggetto proponente legittimato a eseguire l’opera, una apposita convenzione/contratto, per disciplinare le condizioni, i termini e le modalità di esecuzione dell’opera”.
Ma chi è il proprietario del bene? Sono due: il complesso di San Francesco oggi appartiene alla Soprintendenza per quanto riguarda chiesa, campanile e chiostro, mentre la parte conventuale e il verde circostante sono di pertinenza del Comune. Ciò dipende dal fatto che nel 1863 chiesa e convento furono sconsacrati e destinati a caserma militare, e tre anni dopo la chiesa fu trasformata in magazzino; nel 1899 il Comune concesse alla Curia l’ex chiesa “per il solo uso del culto” e “la conservazione delle opere d’arte”, ma questa poté riaprire due anni dopo solo grazie ai cospicui interventi economici di un comitato di cittadini. Infine, nel 1959 il Demanio ha concesso chiesa, campanile e chiostro ai Beni Culturali. Dunque dovrebbero essere Comune e Soprintendenza assieme a presentare “un circostanziato progetto esecutivo dell’opera di restauro”. L’architetto Ciafaloni nell’ottobre 2013 sosteneva che l’importo del progetto per gli interventi di somma urgenza relativi alla “copertura della Chiesa, il chiostro, le facciate e le vetrate” ammontava a circa 600 mila euro e precisava di averlo già inviato alla Fondazione l’anno precedente. Sottolineava inoltre la necessità di rivedere, a distanza di tempo, quella perizia.
Fino ad oggi niente si è mosso sul fronte dei lavori e nel frattempo le sue condizioni sono andate peggiorando. Siamo al punto di partenza, ma per uscire dal pantano forse la storia può venirci in aiuto. Nel 1901, come ricordato, si sperimentò una sorta di azionariato popolare per riaprire la chiesa: perché non ripetere una simile esperienza e lanciare un crowdfunding per il restauro del chiostro? Di recente l’Unicoop Firenze, assieme all’Opera del Duomo del capoluogo toscano, ha dato vita a una sorta di mecenatismo di massa con l’obiettivo di raccogliere 100 mila euro come contributo al restauro del Battistero fiorentino dal costo complessivo di 2 milioni; nel giro di pochi giorni la somma ha toccato quasi 50 milla euro e i clienti Coop hanno dimostrato un forte attaccamento al proprio patrimonio. Pure nel nostro caso si tratterebbe di un co-finanziamento, che servirebbe a spronare i due enti proprietari del complesso pisano a non perdere ulteriore tempo.
Di nuovo si parla di sinergie e d’impegno a lungo termine. A tal proposito va ricordato che uno degli ambienti del convento di San Francesco che si trova in uno stato di sofferenza è la Sala del Capitolo, dove si trovano le Storie cristologiche del fiorentino Niccolò di Pietro Gerini (1392). Solo pochi fortunati hanno avuto la possibilità di vedere questo importante ciclo di affreschi, perché i frati non sono mai riusciti a garantire l’apertura al pubblico della Sala. Ecco quindi che una funzione imprescindibile come la tutela del patrimonio si completa solo se poi si rende quel bene fruibile.
Basterebbe così poco a costruire un percorso sulla pittura del Trecento a Pisa che, partendo dal vicino Museo di San Matteo con i capolavori di Simone Martini e Francesco Traini, faccia tappa alla Sala del Capitolo di San Francesco per poi concludersi al Camposanto monumentale, giusto per invertire una rotta fino a oggi ciecamente univoca. Anche in questo senso la partecipazione diretta della cittadinanza in un’impresa di crowdfunding potrebbe contribuire a rilanciare la conoscenza del centro storico e a renderlo più “visibile”.
Benissimo! certamente le associazioni con statuti compatibili sosterranno l’iniziativa come hanno fatto per la Certosa! Speriamo che parta anche la creazione di cooperative o ditte di giovani copmpetenti per realizzare tramite le opportune convenzioni con i proprietari i da tempo auspicati giri culturali turistici che rendano fruibile il patrimonio cittadino che non può essere tenuto diversamente aperto al pubblico!
A Pisa si parla molto di degrado, spesso a sproposito. Ecco, degrado è di sicuro il fatto che nel malmesso chiostro medievale di San Francesco ci siano regolarmente automobili parcheggiate. Presumo siano di chi vi ha accesso e di chi lo ha in gestione; ovvero, magari, della stessa gente che poi piange miseria e invoca soldi per il restauro. Temo poi che la pavimentazione non sia stata concepita per sopportare quei pesi di una tonnellata – una tonnellata e mezzo, che insistono su soli quattro piccoli appoggi di ruota generando pressioni mostruose, ma magari mi sbaglio e nel medioevo avevano già previsto le Fiat, le Ford e le Opel.
Ma tanto a Pisa la colpa è sempre di qualcun altro… Voglio proprio vedere se la Fondazione Pisa ha voglia di finanziare il progetto “restauriamo il chiostro così lo uso ancora meglio come parcheggio privato”.