Il presente è la calma dell’immobilità e della scena d’interno, dove il tutto è affidato alla sceneggiatura che funziona, il passato è la velocità della ripresa e il dinamismo della regia
Ecco per Sergio Castellitto la terza trasposizione cinematografica di un romanzo di Margaret Mazzantini. Nessuno si salva da solo, ancora una volta, indaga una relazione d’amore – tema assai caro alla moglie Margaret – ma questa volta, una relazione ormai finita, che fa i conti con un passato doloroso. Gaetano e Delia si incontrano per andare a cena: niente di romantico ormai, devono solo parlare delle vacanze dei loro due figli, la spartizione temporale dell’estate dei bambini di separati.
Ma la cena, in un modo anche fin troppo repentino, si trasforma in un revival di ricordi della loro storia, non immaginata solo a parole, durante i loro dialoghi, ma scaturito dalle loro menti o dall’onniscienza che tutto ha visto e tutto vuol mostrarci. In un ping-pong di immagini tra presente e passato, con un ritmo spedito e poco pausato, si conosce l’inizio della loro storia di amore, il suo evolversi e il suo tramontare. Ma se nel libro, i flash-back si amalgamavano dolcemente al presente narrativo, nel film il contrasto risulta un po’ stridente.
Il presente è rancore, freddezza e voglia di distruggere l’altro ferendolo nel profondo – Delia dà più volte a Gaetano del fallito e lui della puttana – il passato è passione travolgente e intesa romantica; belli i nudi di Scamarcio e Trinca che si intrecciano nelle scene d’amore. Il presente è la calma dell’immobilità e della scena d’interno, dove il tutto è affidato alla sceneggiatura che funziona, il passato è la velocità della ripresa e il dinamismo della regia.
Ci sono alcune scene che risultano stonanti nell’insieme, quelle in cui le grida sembrano strozzature sonore, la concitazione sembra recitazione innaturale; o quelle in cui alcuni elementi della storia paiono inseriti come forzatura, senza nessuna utilità narrativa, quasi come veloci accenni al testo da cui si parte – quella di Massimo Ciavarro, ad esempio, o quella del tradimento consumato in modo poco poetico sul retro di una autovettura di cui non si farà accenno pur essendo, almeno nel testo, elemento di spinta alla separazione.
I due protagonisti nel complesso se la cavano, soprattutto lui che dà più corpo al personaggio più di quanto faccia lei – figura arrabbiata e ferita, violenta nel suo buttargli addosso il gelato durante il tête-à-tête. Alcune scene del passato felice, come quelle in cui mangiano bomboloni al parco o quella del doppio allattamento, figlio e compagno, sono belle ed equilibrate. La colonna sonora – con un omaggio a Dalla – piace, mentre piace meno il cameo di Roberto Vecchioni e Ángela Molina, che risulta di contorno accettabile – la coppia di persone anziane, felici, nello stesso ristorante – ma, sul finale – quando lui proclama all’uscita dal ristorante la massima che dà il titolo al film – un po’ fuori luogo.