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Di Sbieqo Fino a qui tutto bene, Roan Johnson (2014)

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Il regista pisano lascia una sensazione di déjà vu nello spettatore, perché presenta immagini genuine e poco patinate, splendenti di un loro energico realismo, senza fronzoli


Dedicato a chi continua a remare

Fino-a-qui-tutto-bene-locandinaRoan Johnson, dopo l’esordio scattante de I primi della lista, fa un passo in avanti centrando in pieno l’obiettivo.
Fino a qui tutto bene, davvero.
La storia, già spesso riproposta nel panorama italiano della commedia corale, qui cambia verso, si ispessisce di sensibilità, si fa ragionamento cosciente e volontario. Non bastano giovani attori, non bastano situazioni congeniali da copione studentesco, occorre una visione leggermente spostata rispetto alla consuetudine, un inquadrare un mondo – quello degli studenti ormai al bivio della vita post universitaria – spesso conosciuto e banalizzato, con occhi nuovi, freschi di grazia, ancora pieni di quell’entusiasmo che solo un atto in parte autobiografico può lasciare. E la traccia c’è, chiunque può ritrovarsi nella vita pisana degli studenti universitari – fortunati perché vivono in attico che si affaccia sul Lungarno – nel loro rigirare situazioni di gioventù anche quando significa aver tirato troppo la corda, nel loro ritrovarsi improvvisamente di fronte a quel drammatico “e ora che faccio?” che ha ossessionato tutti coloro che quel percorso lo hanno fatto, almeno in Italia.

Roan Johnson, lascia una sensazione di déjà vu nello spettatore, perché presenta immagini genuine e poco patinate, splendenti di un loro energico realismo, senza fronzoli.

La corsa ormai è arrivata alla fine e da quel treno bisogna scendere

Sono 5, hanno passato anni vivendo assieme durante gli studi. Ora stanno impacchettando le loro cose perché la corsa ormai è arrivata alla fine e da quel treno bisogna scendere. E il week end – l’ultimo a Pisa – sembra dilatarsi  e volersi fare più intenso e più vissuto, sembra voler zeppare un sacco di cose che non si faranno più, nello spazio ristretto della malinconia, della nostalgia dolorosa. È in questo dolore diluito che il film è diverso dagli altri. In quello spazio di riflessione che la figura di Vincenzo va a farci fare, ricercatore senza borsa in un’Italia che rigetta, viene assunto come professore associato all’estero, nella terra di ghiaccio e fuoco, lontano dall’Italia, dai suoi affetti – il dramma è proprio qui – dal suo calore, perché “non posso perdere un’occasione così”, un’occasione che da noi non esiste più. Francesca, la sua ragazza, non avalla la sua partenza.

fin qui1In un contrasto di coppia che diventa teatrale e corale all’interno del gruppo di amici, si affaccia la sua legittimazione di dire (urlare) no (il suo no), lei donna dovrebbe seguire il fidanzato e magari fare dei figli per “aspettarlo”, lasciare il suo mondo, il suo lavoro-non lavoro a teatro. La riflessione femminista di Francesca si afferma limpida e chiara, e ha ragione. Per una volta le donne della “commedia” italiana si affrancano dalla condizione di figurine ben messe (non in senso interiore), si rendono personaggi pensanti e auto-determinanti. Ilaria, la ragazza che rimane incinta, non nasconde la sua propensione al sesso libero, colorato e anche orgiastico, si legittima in quanto donna e nessun sguardo viene a giudicarla, nessuno lascia scappare battute machiste e giudicanti sensi di colpa di provenienza maschile. Ilaria si veste anche di un ruolo rocambolesco di donna vendicatrice, colei che graffia la macchina del professore-amante e che lo minaccia con aggressività – apparizione di Paolo Giommarelli, già noto nel panorama pisano –  durante l’irruzione notturna nella sua casa.

Sull’amaro galleggia la risata e l’autoironia

Non cade mai nel patetico, neppure se si parla di un amico scomparso, di mancanza di luoghi, di soldi, di lavoro. Sull’amaro galleggia la risata e l’autoironia, la coscienza di essere un “fallito” se ti distacchi da ciò che è tradizionalmente considerato sicuro e stabile. Così Cioni – Paolo Cioni anche nella realtà – l’attore senza meta e senza un futuro sicuro, è il personaggio toscano del gruppo, il più simpatico, le sue battute sono genuinamente divertenti – anche con una chicca da leggenda mentre si appresta, per scommessa, a far sesso con un cocomero in un bel campo toscano – e la sua espressività talvolta ricorda quella del Benigni giovane.

Il film vuol farci sentire parte di un problema che riguarda tutti i futuri studenti. In un mondo in crisi – non solo economica – in cui i valori si dimenticano con facilità, 5 amici invece possono continuare a sperare – dalla loro parte la gioventù – e a remare, in mezzo ad un mare pisano e a un mare di difficoltà.

yuri.jpgLa macchina da presa è sempre delicatamente poco ingombrante, nei campi lunghi – la barchetta appunto con i 5 in mezzo al mare – e anche nei piani ravvicinati; bello il gioco di riflessi attraverso lo specchio trasportato a piedi per Pisa, un montaggio bizzarro per chi pisano lo è davvero, ma che realizza un bel collage poetico che sembra omaggiare la città –  la sua campagna calcesana e la sua marina. La sceneggiatura molto ben orchestrata rende il film il contrario dei soliti stupidi cliché di goliardate prive di spessore, non sorprende abbia vinto il “Premio del Pubblico BNL / Cinema Italia (Fiction)” all’ultimo Festival di Roma.

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Pubblicato il: 20 marzo 2015

Argomenti: DiSbieqo, Quaderni

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