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SerieQ Fleming, Arthur and George: anche gli inglesi sbagliano

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Visto il successo ottenuto dalle serie che hanno come protagonisti Sherlock Holmes e James Bond, gli inglesi hanno tentato una variazione sul tema. Il risultato sono due mini-serie dedicate a Arthur Conan Doyle e Ian Fleming


Visto l’incommensurabile successo ottenuto da opere aventi come protagonisti Sherlock Holmes e James Bond, e considerata l’ormai interminabile sequenza di film e declinazioni sul soggetto, i sudditi della regina hanno pensato di variare un po’ e porre l’obiettivo sull’artista, anziché sull’opera d’arte. Su Arthur Conan Doyle e Ian Fleming. Con due mini-serie. Orribili.

fleming-the-man-who-would-be-bondPartiamo dal caso più disperato: Fleming, The man who would be Bond. Il giovane Ian è un debosciato con complessi di inferiorità (verso il padre defunto, il fratello che lo compatisce, la madre che lo vessa), ha un hobby da nobiluccio inglese (litografie pornografiche) e una segreta convinzione che la vita gli riserverà un destino di grandezza. E infatti, accallà, arriva la svolta: per accaparrarsi una prima edizione del Mein Kampf (perché mai, poi?) il giovane Ian si inventa una storia curiosa e incredibile. Ed è l’avvio della carriera di spia. Insomma, la solita, vecchia, banalissima storia di redenzione, che pare culmini con Ian che diventa uno scrittore di fama mondiale e sposa la donna che fin dalla gioventù lo ha dileggiato preferendogli un ottuagenario facoltoso. Ma non saprei dirlo con certezza, non essendo mai arrivata a vedere la quarta puntata di questa insostenibile mini-serie.

Leggermente migliore Arthur & George, mini-serie in tre puntate incentrata sulla figura di sir Arthur Conan Doyle. Lo scrittore, già all’apice del successo, è nauseato dalla popolarità del suo libro; con la morte della moglie comincia – giusto in tempo! – ad avvertire il senso di colpa per aver avuto per anni una ganza. Così, il sir va (anche lui) alla ricerca della redenzione. Si appassiona al caso di George Edalji, un giovane avvocato condannato per un crimine disgustoso. Dopo aver parlato con l’uomo, sir Arthur si convince (sulla base di mere sensazioni) che sia innocente. E così per tre puntate un nobilotto dal giro vita appesantito si improvvisa detective e va sulle tracce di un assassino, facendo caso alle impronte sul fango e a poco altro.

Entrambe le mini-serie vogliono sollecitare il parallelismo con le opere letterarie: si richiamano le atmosfere e le impostazioni, ma il tutto risulta straordinariamente povero, semplificato. L’indagine di Arthur & George è tremendamente poco interessante, priva della trama deduttiva e di tutto ciò che rende le indagini di Sherlock Holmes travolgenti e appassionanti. Lo stesso vale per le avventure di Ian Fleming, eccessive, patinate, bizzarre. Insomma, le mini-serie sono scritte, girate, realizzate malissimo. I protagonisti non sono rappresentati come demiurghi, come artisti capaci di creare un mondo di finzione credibile e appassionante, ma sono semplicemente un sotto-Sherlock, un sotto-Bond: una versione incompleta, banalizzata e noiosa delle loro creazioni.

Piacevole, solo l’ironia (involontaria) di cui sono oggetto i protagonisti delle mini-serie. Se Sherlock e Bond sono sempre un passo avanti, sempre più lucidi e più svegli degli altri, sir Arthur e Ian sono circondanti da personaggi più intelligenti di loro, che con delicatezza e costanza non fanno altro che ripetere loro quanto siano stupidi e quanto tutti ne siano al corrente. Insomma, umorismo appropriato, gradevole, british. Ma non basta certo per considerare guardabili queste serie.

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Pubblicato il: 9 aprile 2015

Argomenti: Quaderni, SerieQ

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