Sandra Lischi, presidente del corso di laurea in discipline dello spettacolo e della comunicazione, nonché amica di lunga data di Daniela Meucci, offre un ricordo della “signora dell’Arsenale”, prematuramente scomparsa
Daniela Meucci è stata una presenza costante nella mia vita, fin dagli anni Settanta. I percorsi di incontro erano quelli di un cinema che amavamo fra amici e compagni di studio, intrecciati con la vita che ci stavamo costruendo.
Ricordo serate condivise con Michela, sua figlia, e Sascia, figlio del mio compagno, negli anni Settanta. Due bimbi che sembravano usciti da Il monello di Chaplin. I suoi capelli anche allora cortissimi.
La sua era una specie di severità su cui si poteva contare, perché era segno di sincerità e di integrità
Una presenza, quella di Daniela, che si era andata identificando nel tempo con quel luogo prezioso, la
saletta del vicolo Scaramucci, il cineclub fondato nel 1982 e premiato a Mantova dalla FICE nel 2014 come migliore cineclub dell’anno.
La caratterizzava quel tono riservato, anche ruvido; un’essenzialità che segnava il suo intero vivere, dal vestire al parlare. E una specie di severità su cui si poteva contare, perché era segno di sincerità e di integrità: questa severità, benché talvolta scomoda, era una sicurezza. Ma era anche il suo modo di governare con mano ferma, insieme alla sua “famiglia” dell’Arsenale, un non facile groviglio di problemi e un ricco intreccio di collaborazioni e progetti.
Un lavoro pazientemente intessuto con solidità e con la forza che occorre per resistere giorno dopo giorno in un contesto non facile. Attraverso i nostri incontri, le collaborazioni per le iniziative universitarie (ma non solo) e il nostro scambio di mail, che in certi periodi si faceva quotidiano, entravo nella macchina complessa del suo organizzare, ideare, pensare, sistemare difficili incastri di programmazione, fronteggiare costi proibitivi di alcuni noleggi, le ben note perversioni della distribuzione.
Ma constatavo anche la sua capacità di creare felici corto-circuiti, di trattare con registi, autori e critici, la sua autorevolezza scarna ed efficace nell’allestire serate, la sua politica dell’accoglienza nei confronti di associazioni e di lavori d’esordio, la sua attenzione sempre vigile alle tematiche politiche e sociali, all’impegno civile.
La rete creata ha riguardato miriadi di associazioni, iniziative dei corsi di laurea e di diversi Dipartimenti universitari, senza mai dimenticare le novità, i classici, i “non riconciliati”, e le nuove forme che assume l’audiovisivo.
Daniela, così mi pare oggi, c’è sempre stata, ci ha sempre accompagnato, in quel suo modo attento e schivo, lontanovicino. Con una solidità e una costanza che rendono ancora più incredibile e dolorosa questa scomparsa. E che ci fanno stringere ancora più forte al “nostro” Arsenale e al suo futuro.
Quanti doni abbiamo ricevuto. Quanti volti passati di lì, quanti grandi maestri e quanti autori sconosciuti, quante scoperte, quanti mondi, e risate, e lacrime, quanti artisti; quante discussioni, messaggi, cene, immagini, commenti. E sempre lei, Daniela, sulla soglia, o nell’atrio ad accogliere pubblico e registi; o in sala col microfono, o lì accanto, nell’ufficio, a preparare il notiziario, a contattare gli autori.
O seduta a guardarsi, finalmente, un bel film.
Sandra Lischi