Testimonianze deficitarie, contrastanti e in alcuni casi persino inverosimili. Così il GIP Giuseppe Laghezza ha esposto le motivazioni del non luogo a procedere per Antonio Logli in una relazione di 13 pagine depositata ieri
Manca la prova che Roberta Ragusa sia stata davvero uccisa, anche vista l’assenza del ritrovamento del cadavere, e le testimonianze raccolte sono deficitarie.
Queste le motivazioni che il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pisa, Giuseppe Laghezza, ha esposto in una relazione di 13 pagine depositata ieri, sulla sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Antonio Logli, accusato di omicidio volontario e distruzione del cadavere per la sparizione della moglie avvenuta la notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012 da Gello di San Giuliano Terme.
“Insussistenza dei fatti contestati” dunque, e testimonianze che il giudice nella relazione descrive come deficitarie, contraddittorie e in certi casi anche inverosimili. E comunque non sufficienti a provare un omicidio partito da una lite tra marito e moglie.
Il giudice smonta soprattutto l’incidente probatorio durante il quale un testimone ha riferito di aver assistito al litigio fra Roberta Ragusa e Antonio Logli in una strada adiacente alla loro abitazione. Le sue parole scrive il magistrato, “sono palesemente insufficienti” e si limitano a descrivere la lite fra un uomo e una donna non meglio identificati, a cui ha fatto seguito il caricamento della donna su un’auto di cui non è stato possibile neppure identificare il numero di targa e quindi il proprietario.
Testimonianze ed elementi non univoci e insufficienti che si sommano al mancato ritrovamento del corpo che fanno dunque dire al giudice che a mancare è la “compiuta dimostrazione della morte violenta”.
Di opinione diversa la procura che aveva già preannunciato ricorso in appello e che a quanto riporta l’Ansa sarebbe pronta a dare battaglia e a ricorrere in appello.