Annamaria Venezia è il direttore della Direzione Territoriale del Lavoro di Pisa. Nata a Torino, ha vissuto in diverse città d’Italia e dal 2007 lavora nella nostra città. Abbiamo deciso di capire qualcosa in più del suo percorso e della sua storia. Ci interessava il suo punto di vista sul mondo del lavoro a Pisa e sulla cultura del lavoro che la nostra città esprime.
Quando e come è arrivata a Pisa?
Sono arrivata a Pisa nel 2007, dopo aver ricoperto per circa 10 anni l’incarico di Direttore Generale e Segretario in diversi Comuni e Comunità Montana (in ultimo il Comune di Barberino di Mugello e la CM del Mugello). Ho iniziato a lavorare nella pubblica amministrazione nel ’97 tramite concorso, in un momento in cui il decreto Bassanini stava rivoluzionando l’assetto delle amministrazioni locali, dando al ruolo di direttori e segretari un’impostazione più manageriale. In questa fase si stava dando attuazione a quel complesso assetto normativo di decentramento e semplificazione amministrativa (le cd Leggi Bassanini) e per me è stato molto stimolante partecipare all’attuazione di questa profonda riforma, ricercando la migliore realizzazione dei principi dell’art.97 della Costituzione (buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione). Mi sono poi specializzata in riorganizzazione, controllo di gestione e valutazione del personale. Dopo 10 anni ho iniziato a sentire il bisogno di confrontarmi con realtà più ampie della dimensione locale e dato che il settore che più mi appassionava era quello della regolazione del mercato del lavoro ho deciso di impegnarmi nell’amministrazione Statale, al Ministero del Lavoro. Per 6 mesi ho rivestito l’incarico di responsabile del Servizio Ispettivo alla Direzione di Firenze e quando si è resa libera la sede di Pisa sono arrivata qui; la scelta della città è stata dettata anche da ragioni personali.
Quali sono stati i suoi studi e il suo percorso professionale?
Ho studiato Giurisprudenza all’Università di Firenze. Scelsi questo indirizzo grazie all’insegnamento di un mio professore di filosofia, che mi trasmise la passione per la Filosofia del Diritto, e per i temi della colpa cosciente e del dolo eventuale, motivo per cui mi rivolsi alle teorie sull’elemento soggettivo del reato del prof. Ferrando Mantovani, con il quale mi sono poi laureata in Diritto Penale. Ho proseguito quindi la strada della magistratura con i due anni di specializzazione a Bologna, dove ho studiato con Vito Zincani (magistrato abruzzese che ha partecipato, fra le varie inchieste, a quelle relative alla strage di Bologna, a Prima Linea, alla vicenda della Uno Bianca, ndr) ed Angelo Piazza (ex Ministro della Funzione Pubblica, Deputato, Giudice del TAR dell’Emilia Romagna, ndr). In quel periodo studiavo fino a 18 ore al giorno e non mi dedicavo ad altro. Arrivata al momento di presentarmi al concorso, casualmente mi sono imbattuta in un concorso per Segretario Comunale; partecipai e lo vinsi. La rinuncia al concorso per magistrato mi procurò un sonoro rimprovero, da parte sia di Mantovani che di Zincani: non partecipai perché mi feci prendere dalla paura di sprecare una delle sole 3 possibilità che si danno ai candidati che intendono intraprendere quella carriera, cosa che non mi sono più permessa nella vita scegliendo di mettermi sempre pienamente in gioco per ciò in cui credo e che mi appassiona. Questo ha fatto sì che ad oggi sono soddisfatta del mio lavoro: il tema di cui mi occupo è fondamentale quanto il tema della salute, sia in termini sociali che di rispetto dei diritti costituzionali, e sono convinta che la responsabilità che questo comporta richieda il massimo impegno.
Veniamo a Pisa. Che idea si è fatta di questa città e della cultura del lavoro che esprime?
Pisa è una realtà estremamente stimolante: qui c’è tutto – l’industria, la ricerca, il turismo – e c’è la possibilità di mettere a sistema la parte migliore del nostro Paese. Credo anche che in questa città ci siano ulteriori potenzialità da esprimere, ma nel complesso è un luogo molto ricco. Quanto alla cultura del lavoro, c’è da dire che non non vi sono vaste aree di aperta e costante violazione normativa ma, come nella media nazionale, sussistono fenomeni anche gravi di impiego irregolare di lavoratori oltre alle più gravi fattispecie di lavoro nero e violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, che sono poi all’origine della maggior parte delle infrazioni da noi constatate. Gli attori del sistema del lavoro, che va dalle associazioni datorili, ai sindacati ai professionisti, esprimono un’ampia e spesso pregevole competenza di settore che è una vera ricchezza per questo territorio.
Certo, il lavoro da fare è ancora molto, ma non lo si può ridurre alla dimensione locale. Anzi, è necessario tener sempre presente che ciò che accade nel piccolo ha ripercussioni globali e viceversa. Uno degli aspetti su cui penso si dovrebbe fare di più è lo sviluppo di politiche che incrementino la capacità di attrarre immigrazione qualificata; la nostra città ha sicuramente le capacità per attrarre una migrazione che non porti solo manodopera. Un altro è quello del welfare.
C’è stata un’evoluzione del mercato del lavoro a Pisa da quando lei si è insediata? Ha visto dei cambiamenti anche a seguito al suo lavoro?
Da quando ho assunto l’incarico nel 2007 ho vissuto una fase di cambiamento importante, legata in particolare alla forte diminuzione delle sanzioni per violazioni di carattere formale, e all’attenzione maggiore per quelle di carattere sostanziale. Questo ha significato anche una diminuzione del numero delle ispezioni assegnato dal ministero alla DTL di Pisa, ma ci sono anche altri elementi visibili: uno è quello della crisi, con un aumento sensibile dei lavoratori che denunciano irregolarità sul profilo patrimoniale. L’altro è quello dell’introduzione del reato di clandestinità, che aggiunge alle irregolarità amministrative anche la fattispecie penale.
Un’ultima domanda dall’eco “berlingueriana”. A paginaQ siamo giovani ed è giovane anche il nostro progetto. Quali consigli dà alle nuove generazioni che devono fronteggiare un difficilissimo e ostile mondo del lavoro?
Premesso che i consigli sono fatti per non essere ascoltati, l’unica riflessione che consegnerei alla valutazione dei giovani è che chi ha vissuto più anni non è detto che abbia sempre ragione. La forza delle idee nuove è di saper mettere in dubbio ciò che sembra acquisito. In definitiva il consiglio ai giovani è di non essere vecchi.
Direi che la conclusione dell’articolo ve la siete ritagliata su misura.
Nell’era del “giovinilismo” a tutti i costi i “vecchi” non hanno più niente da dire e se lo dicono “non è detto che abbiano sempre ragione”. Eliminiamoli, allora! Come se aver vissuto e “combattuto” per 50 o 60 anni non abbia lasciato traccia alcuna nei “vecchi” degna di nota.
Caro Giovanni, in paginaQ non ci sono solo “giovani” perlomeno non nel senso anagrafico, il sottoscritto ha 50 anni e sta imparando molto dai giovani con i quali lavora. A volte ho ragione io, spesso hanno ragione i miei amici più giovani ed è imparando che anch’io resto giovane. Non ne farei una questione anagrafica. La dottoressa Venezia, semplicemente invita ad aver coraggio ed a sfidare le convenzioni ed i modi di pensare acquisiti. Spesso il progresso è arrivato così.
Non credo che Annamaria Venezia sia mai stata intervistata da un giornale on-line, quindi un plauso per la scelta. Il consiglio ai giovani “di non essere vecchi” va interpretato, credo, nel senso di non lasciarsi andare e di non demoralizzarsi, ma di lottare, anche se capisco che non è affatto facile. Non credo comunque che sia il DTL che può essere d’aiuto.