La vicenda del ritiro dell’appalto per i lavori alla rotatoria di via Gargalone solleva da un lato domande sulla legislazione per gli appalti pubblici, dall’altro è un esempio positivo di come le istituzioni siano capaci di porre rimedi di fronte a malfunzionamenti e sospetti di infiltrazioni.
PaginaQ ha sentito Renato Scalia, del comitato direttivo del Fondazione Antonino Caponnetto ed ex ispettore della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) per parlare del sistema degli appalti pubblici e degli strumenti che esistono per scongiurare il rischio di infiltrazioni mafiose.
Un rischio da cui in Toscana non siamo al riparo: “Nel rapporto della Direzione Nazionale Antimafia – sottolinea Renato Scalia – si dice chiaramente che Cosa Nostra ha in mano molti appalti pubblici in Toscana”. Pisa, in particolare sarebbe invece “terra di azione della camorra”.
A emergere è soprattutto la necessità di fare passi avanti per colmare quel divario che esiste fra criminalità organizzata e lotta al suo contrasto, perché spiega Scalia “il ritardo che abbiamo rispetto alle mafie è di 10/20 anni”.
Più uomini, banche dati aggiornate e funzionali e una maggior attenzione da parte dei legislatori. Tutto questo farebbe una grande differenza.
Perché da un lato c’è un sistema farraginoso, dall’altro ci sono forze dell’ordine che con l’organico attuale non riescono a far fronte a tutto.
“La normativa – ci spiega Renato Scalia con una formula che gli è cara perché ben rende il concetto – è un buco nero. Quello dei controlli antimafia è un percorso tortuoso, fatto di monitoraggi e di controlli sugli appalti pubblici (e non solo ovviamente) che si scontra anche con l’assenza di una banca dati che raccolga tutte le interdittive antimafia”.
“In realtà una banca dati per raccogliere queste informazioni è in fase di costituzione. Ma ci vorranno 10 anni prima che entri a regime. La strada più semplice sarebbe stata quella di inglobare queste informazioni nelle banche dati esistenti: per fare un esempio, se lei oggi viene fermata a Milano la polizia può verificare, attraverso la banca dati, eventuali contestazioni indipendentemente da dove lei ha commesso il reato o l’infrazione. Oggi questo non accade per le aziende che sono accusate di infiltrazione mafiosa. Se vengo raggiunto da un’interdittiva antimafia a Napoli basterà cambiare regione e difficile diventerà rintracciare questo provvedimento a mio carico. È facile capire quanto questa mancanza complichi la lotta all’infiltrazione della criminalità organizzata nel sistema degli appalti”.
Oltretutto prosegue Scalia, “l’interdittiva antimafia ha durata di un anno (prima del nuovo codice antimafia il tempo di validità era 6 mesi)”. Un tempo evidentemente insufficiente, tanto che per l’ex ispettore della Dia l’interdittiva dovrebbe portare con sé l’esclusione perpetua dalle gare d’appalto.
A costituire un ulteriore ostacolo c’è l’enorme quantità di aziende: 6 milioni, 1 ogni 10 abitanti. Un labirinto in cui trovare intrecci e connessioni è un percorso tutto in salita. L’altro punto critico, che legislatori e amministratori pubblici, dovrebbero affrontare è quello del meccanismo del massimo ribasso nelle aste per l’aggiudicazione delle gare.
“Molti amministratori sono convinti che in questo modo si facciano risparmiare i cittadini, dimenticandosi però altre questioni importanti. Questo sistema rafforza le associazioni mafiose, dato che imprenditori onesti non potranno mai fare ribassi eccessivi (e oltretutto molti di questi saranno costretti a chiudere). Non dimentichiamoci che nei cantieri dove lavorano le ‘imprese infiltrate’ le norme della sicurezza nei luoghi di lavoro non sono mai rispettate e che nella maggior parte dei casi vengono sono usati materiali scadenti e quindi le costruzioni sono a rischio crollo”.
Un passo avanti l’aveva fatto la Regione Toscana nel 2007 con la giunta Martini, con una legge che scriveva nuove regole per appalti più sicuri e trasparenti. “Una disciplina innovativa che istituiva un osservatorio regionale sui contratti pubblici e un archivio regionale dei contratti per lavori, servizi e forniture della pubblica amministrazione toscana ove confluiscono i dati relativi alle stazioni appaltanti. L’interessante normativa propone tante altre cose quali, ad esempio, un patto per la sicurezza e la regolarità del lavoro mediante intese ed accordi con gli enti locali, le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative e le organizzazioni imprenditoriali, anche tramite gli organismi paritetici; l’adozione da parte delle stazioni appaltanti per l’aggiudicazione anche del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Questa innovativa disciplina sugli appalti della Regione Toscana, in parte, ha limitati margini di intervento rispetto alla competenza che è riservata allo Stato. Quindi, quasi tutto rimane come prima”.
Fra tutti questi “intoppi” si aggiunge lo strumento del ricorso al TAR a cui le ditte interdette spesso fanno ricorso. Una prassi, certo legittima, ma che “può fungere da spauracchio per le amministrazioni. Per questo con la Fondazione Caponnetto stiamo lavorando affinché in tutta la regione venga adottato un protocollo di legalità, firmato anche dal Prefetto di Pisa,, che prevede l’impossibilità di ricorrere al TAR per contestare un’interdittiva antimafia alle aziende che aderiscono”.
A Pisa, dice Salvatore Calleri della Fondazione Antonino Caponnetto, “la presenza della criminalità organizzata è una realtà” – come i recenti sequestri confermano – “ma c’è anche una Prefettura capace di tenere gli occhi ben aperti”.