Secondo qualcuno C’era una volta in Anatolia è come una puntata di CSI scritta da Anton Chekhov; per un altro è Hill Street Giorno e Notte e lo scrittore è Samuel Beckett. Infatti, questo film del regista turco Nuri Bilge Ceylan, uscito nel 2011 e vincitore del Gran Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes, è un poliziesco: tutto il film ruota intorno alla ricerca di un cadavere; ma a differenza delle puntate dei due famosi telefilm americani, C’era una volta in Anatolia dura due ore e mezzo, è pieno di silenzi e non tutto viene spiegato.
Secondo me per C’era una volta in Anatolia hanno allargato lo schermo, per farci entrare tutto il bellissimo paesaggio notturno dell’Anatolia illuminato soltanto dai fanali delle tre auto che per una notte si inerpicano per le stradine delle colline alla ricerca del punto esatto vicino a una fontana dove è stato seppellito un uomo. E poi l’hanno ristretto, e i cinque personaggi dentro una delle tre auto sembrano quasi spiaccicati contro lo schermo, mentre parlano di yogurt di latte di bufala e citano i poeti “passeranno gli anni e nessun segno rimarrà di me il freddo e il buio avvolgeranno questa mia anima stanca”.
Secondo me C’era una volta in Anatolia ha una fotografia che leva il fiato ed è un piacere solo da guardare per quelle due ore e mezzo che sì, possono essere un po’ faticose. Ma ne vale davvero la pena. I personaggi sono ambigui, ma anche loro bellissimi illuminati per quasi tutto il film da luci fioche. E ognuno di loro una storia la racconta, che come per le persone reali non è mai troppo chiara, e noi possiamo solo cercare di intuirla.
Mentre guardavo il film pensavo che il protagonista fosse proprio la luce che illumina il buio, ma anche il rumore del vento nell’erba alta illuminata dai fanali. A turno ho pensato che il protagonista fosse uno dei personaggi: il prigioniero ammanettato che sta nel centro nel sedile posteriore dell’auto e che viene illuminato dai fari dell’auto che li segue come se fosse un Gesù? o il poliziotto che ha smesso di fumare? o il medico con quel viso così intenso? o il procuratore che assomiglia a Clark Gable? O sono le donne le protagoniste, che appaiono molto brevemente e a mala pena parlano, ma che tornano nei racconti di questi uomini?
C’era una volta in Anatolia pone più domande di quante ne risolva, nonostante sia un poliziesco; è ricco di spunti e citazioni, a partire dal titolo; andrebbe visto al cinema, ma la sua potenza visiva riesce a irrompere anche in dvd dal mio piccolo schermo e le sue immagini, i volti, le storie rimangono nell’aria anche quando il film è finito.
proveremo e sapremo dire
che voglia di vederlo …