di Giovanni A. Cignoni
Il 15 febbraio saranno 450 anni dalla nascita di Galileo, a Pisa. La città si prepara alle celebrazioni.
A ricordare Galileo c’è l’imbarazzo della scelta. Ci sono i risultati diretti: l’isocronismo del pendolo e le osservazioni sul moto, il cannocchiale, i satelliti di Giove. È fra i fondatori del metodo scientifico. La condanna del Sant’Uffizio è un inesauribile spunto di riflessione.
In tanta abbondanza, scegliamo un oggetto particolare: il compasso geometrico e militare, il contributo di Galileo agli strumenti per il calcolo. Il compasso si usa per misurare distanze, altezze e pendenze. Serve a fare rilevazioni astronomiche e di agrimensura. Calcola cambi e interessi. Serve ai genieri per costruire fortificazioni e agli artiglieri per risolvere problemi balistici.
A noi il compasso permette anche di scoprire un Galileo determinatissimo a difendere in cimento il suo onore di scienziato e un’invenzione per lui importante.
Per Galileo il compasso fu un investimento. A Padova prese con sé un artigiano, Marcantonio Mazzoleni (insieme “alla sua donna et alla sua puttina”) per produrre i compassi. L’obiettivo era farsi una rendita economica alternativa all’insegnamento e alle lezioni private: una sistemazione che gli concedesse tranquillità e tempo per i suoi studi.
Al compasso Galileo dedicò la sua prima opera scritta. Stampato a Padova nel 1606 Le operazioni del compasso geometrico et militare era il libro di istruzioni che accompagnava i pezzi. La dedica era a Cosimo de’ Medici che, con Galileo precettore, aveva imparato a usare il compasso.
Di chiara utilità civile e militare, il compasso servì a Galileo per farsi amici influenti. Cosimo lo aiuterà nel 1610 a tornare in Toscana, come Primario Matematico e Filosofo di corte e Primario Matematico all’Università, ma senza obblighi di insegnamento e di residenza in Pisa.
L’interesse che Galileo riponeva nel compasso si ritrova nella determinazione con cui tutelò la sua invenzione. Ce lo racconta in prima persona nella Difesa contro alle calunnie et imposture di Baldassar Capra, pubblicato nel 1607.
Le dispute fra studiosi non erano infrequenti, con il Capra per esempio c’era già stata una polemica sulla Nuova Stella del 1604 – l’osservazione di una nova, ma questa è un’altra storia.
Capra aveva fatto intendere di essere l’inventore del compasso firmando un libro che altro non era che una traduzione maldestra del lavoro di Galilei. La reazione di Galileo fu risoluta e il Capra seguì la stessa sorte toccata a un “tal Giovanni Eutel Zieckmeser”, un fiammingo che in precedenza aveva fatto un errore simile.
Nella Difesa troviamo l’elenco dei reali e dei personaggi a cui era stato donato il compasso (sez. VII della trascrizione). Ci sono anche le dichiarazioni dei notabili padovani e veneziani sul caso Zieckmeser (sez. XI). Ma molto più gustose sono le pagine dove Galileo ci fa la cronaca del cimento, il duello a colpi di competenza al quale sfidò il Capra e che si svolse di fronte ai Riformatori dello Studio di Padova, al tempo i rettori dell’Università patavina.
La scena si apre (sez. XIII) con la preparazione delle armi “un tavolino da potervi posar sopra un libro, un compasso, un poco di carta, con penna ed inchiostro”. Il libro è quello del Capra, che Galileo dimostrerà essere copiato dal suo, per di più pieno di errori.
Il Capra prova a sottrarsi allo scontro cercando un accomodamento, ma il nostro è inflessibile: “finalmente, instandolo io e sfuggendo ogn’altro diverticolo, al preparato tavolino lo condussi” (sempre in sez. XIII).
Interrogato sul compasso e sul suo uso, il Capra cade in errore più volte. Galileo lo incalza, il tapino s’incarta. Galileo si prende tutto il gusto della rivincita: “a questo si trovò egli più che mai inviluppato: e finalmente, per distrigarlo di là ond’ei mai non si averebbe sviluppato, bisognò che io gli dicessi come l’error suo era” (sez. XVI).
A un certo punto, i testimoni cercano di metter fine allo strazio: “quelli Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori, chiarissimi ormai della verità del fatto, forse compassionando al tormento nel quale io ritenevo il malarrivato Capra, fecero cenno che tanto bastava”.
Ma Galileo non desiste e infligge un’ultima stoccata: “domandai ancora al Capra, chiesta buona licenza a quei Signori, quanto fusser grandi gli angoli di un triangolo” (sez. XVII). Con l’ultimo svarione del Capra (183° secondo il suo libro) Galileo si dichiara soddisfatto.
Per chi volesse saperne di più, il 15 mattina il Museo degli Strumenti per il Calcolo è aperto e festeggia Galileo mostrando a tutti come funziona il suo compasso.
Tranquilli: non sono previste interrogazioni alla Galileo.
La “Difesa contro alle calunnie et imposture di Baldassar Capra” (trascrizione, indice)
I conti con il costruttore, Messer Marcantonio Mazzoleni (trascrizione)
Il laboratorio didattico sul Compasso di Galileo è a cura di Claudio Luperini.
Sarà inaugurato il 15, e rimarrà poi nell’offerta educativa permanente del Museo.