Her / Lei un film affascinante, grottesco e inquietante. Her è un film bello e io non lo avrei immaginato perché il trailer non rende giustizia a questa pellicola eccentrica e originale che ha avuto il suo battesimo mondiale al New York Film Festival, ha partecipato al Festival Internazionale del film di Roma e ha vinto il Premio Oscar come migliore sceneggiatura non originale.
Theodore – interpretato magnificamente da Joaquin Phoenix – è un uomo introverso e solitario che implode in una situazione di post separazione. In una Los Angeles dell’immediato futuro, dove gli scenari si fanno colorati di fantascientifiche luci, Theodore per vivere lavora presso una grande azienda che “produce scrittura”: lettere d’amore, d’amicizia, di devozione filiale, per sconosciuti. Theodore dispensa parole ed emozioni, crea sentimento e commozione, ed è anche bravo. La sua vita, però, è triste e monotona, e trascorre in una soffocata atmosfera di silenzio, cene frettolose, videogiochi proiettati nel soggiorno, hot-chat insulse, e continui flash-back sui bei ricordi della storia appena conclusa dopo otto anni di matrimonio. Un giorno, però, su un mega schermo dentro la metropolitana si proiettano immagini pubblicitarie di OS1, “non solo un sistema operativo di intelligenza artificiale, ma una coscienza, un essere intuitivo che ti ascolta, ti capisce e ti conosce”. La vita di Theodore cambia in modo esplosivo. Theodore sceglie la voce femminile tra le due proposte dal sistema: ecco che nasce Lei, che sarà Samantha – Scarlett Johansson si fa pura voce, sensuale e vibrante.
Immaginate qualcuno che con gentilezza ci faccia sorridere, ci ricordi gli appuntamenti, ci legga le mail. Qualcuno che ci fa disegnini sul piccolo schermo dall’occhio ingombrante, che compone per noi la musica – molto bella la colonna sonora – adatta a ogni occasione, che ci tiene compagnia la notte e ci sveglia soavemente la mattina. La voce si fa sempre più presente, intrigante, ci fa sentire un corpo che non c’è, una fisicità ricostruita su sensazioni di pelle fantastica. La voce diventa amante, in un sussurro di respiri e orgasmi soffiati, con la voce si fa l’amore, si ride, ci si litiga, anche. Nasce l’amore: perché è questo ciò di cui vuol parlarci Spike Jonze, niente di più. Vuol parlarci dell’amore e della sua parabola ascendente-discendente. Ecco che Theodore percorre strade parlando, da solo e non solo, va al mare, a cena, fuori con gli amici, che condividono Samantha, anzi, la sua voce. Spike Jonze vuol parlarci di profondità emotiva, di quello che è lasciarsi andare via, scivolare via, appunto. Ci vuole necessariamente far commuovere perché l’amore quando finisce commuove e fa dolore dentro.
Il film ri-inventa un genere: fantascienza e love story fuse assieme. Una serve all’altra, la prima alla seconda, soprattutto. Originale senz’altro e non c’è caduta in frustranti mancate soggettive come potremmo aspettarci da un attore che parla e rimane fisso al centro dell’inquadratura – primi e primissimi piani per lo più – e che non ha mai un alter ego di sguardo. Anzi, solo uno: lei chiede di guardarlo dormire e lui dispone il piccolo schermo sul comodino, apparecchiando il teatrino del voyerismo, per Lei e per noi, dedicandoci questa unica e poetica soggettiva, di rimando. Struggente e disperato, in alcuni tratti doloroso. Ci fa riflettere questo film su cosa sia davvero l’amore, a dove ci porterà, se lontano davvero o solo nell’infinito spazio tra le parole del libro di una vita. Perché, come dice Lei, si può essere “io sono tua ma anche non tua”, si riflette sul possesso, sull’egoismo, sull’indipendenza, sulla differenza dall’altro. Da vedere, senza ombra di dubbio, volentieri.