No al patrocinio di Provincia e il Comune di Pisa alla manifestazione commerciale “Quello che le donne vogliono…”. Questa la posizione di Una città in comune sulla manifestazione che, si legge sul sito dell’evento è una “tre giorni dedicata alla donna e alle sue passioni”. “Quello che le donne vogliono… ” sottolinea la lista civica “vende non solo prodotti per il benessere del fisico, ma anche un’idea maschilista della realizzazione femminile”.
“Dalla pagina facebook dell’evento” prosegue Una città in comune “apprendiamo che ‘Quello che le donne vogliono’ sono in primo luogo prodotti per la cura estetica e il fitness, esperti di massaggi e consulenze sul benessere psichico e la sessualità, box dedicati ai tatuaggi e al lavoro, alle ricette di cucina e agli occhiali più trendy. Nessuna preclusione per i mercati e le fiere dedicati ai prodotti di bellezza e al benessere: la cura del corpo e la vanità personale fanno parte dell’esperienza di vita di tutti e per molti costituiscono uno svago e una gioia. Peccato però che questo evento proponga per l’ennesima volta, con un titolo francamente imbarazzante, un’immagine stereotipata della donna, quasi che la realizzazione dei desideri femminili debba passare esclusivamente attraverso la cura del corpo e dell’estetica (a proposito? Perché solo le donne? Gli uomini non vorranno forse un massaggio o una crema?)”
Un modello di femminilità “avvilente, che per secoli ha incatenato la realizzazione personale femminile al soddisfacimento dei bisogni sessuali dei partner: un modello che forse si credeva sconfitto per sempre, ma che negli ultimi decenni ha preso di nuovo pesantemente corpo nel nostro paese”.
Ciò che appare più grave in tutto ciò, spiegano “è il patrocinio concesso dal Comune e dalla Provincia di Pisa ad un evento puramente commerciale: un evento che oltretutto non si limita a vendere una merce, ma propone alle donne un’immagine di realizzazione fondata in primo luogo sulla bellezza e su canoni estetici inarrivabili e pertanto frustranti. Un’immagine che dovrebbe farle sentire forti e vincenti, ma che in realtà è la stessa che da secoli viene imposta alle donne: la vostra esistenza ha senso solo se siete belle allo sguardo degli uomini”.
“Di fronte ad una scelta di patrocinio – aggiungono – che non esitiamo a definire sciagurata, ci sembra utile ricordare alcuni dati sulla condizione femminile oggi in Italia. Disoccupazione e sotto-occupazione, stipendi più bassi dei colleghi uomini, nonostante una migliore prestazione negli studi, enormi difficoltà nella conciliazione dei tempi di vita con i tempi di lavoro, anche a causa delle croniche carenze dei servizi del nostro paese e di un affidamento pressoché esclusivo del lavoro di cura dei bambini e dei parenti non autosufficienti, oltre che del lavoro domestico. E ancora, donne che non vengono assunte per paura che facciano figli, e donne che firmano lettere di dimissioni in bianco da rendere effettive in caso di intervenuta maternità. Donne uccise per mano di ex amanti, mariti, pretendenti respinti (quasi 130 lo scorso anno) perché hanno osato allontanarsi dal loro possesso. Donne senza diritti, donne con molti doveri. Donne spesso prive dei mezzi economici per accedere a ciò vorrebbero fare”.
E domandano: “Quale ideale di parità tra i generi promuovono il Comune e la Provincia concedendo il Patrocinio a una simile manifestazione? Quale cultura credono di difendere, sostenendo un evento che veicola esattamente la stessa immagine di donna promossa da vent’anni di berlusconismo, con la donna ridotta all’immagine televisiva di un corpo perfetto?”.
Per questo per Una città in comune meglio farebbero Provincia e Comune a ritirare il patrocinio e lasciare che la responsabilità dei messaggi veicolati resti alla sola azienda di marketing.