Le tante storie dell’Affaire Modì nel nuovo romanzo di Daniele Cerrai
Estate 1984: nel centenario della nascita di Amedeo Modigliani, il Comune di Livorno organizza un’esposizione per omaggiare il suo figlio ribelle, che da Livorno scappò alla svelta e senza tanti saluti. Una sorta di ricongiungimento postumo. La voce che ci siano dei falsi nella mostra fa presto a sguinzagliarsi per la città, del resto Modì è l’artista più falsificato del mondo. E c’è anche un’intensa diceria popolare a cui Vera Durbè, organizzatrice della mostra, vuol credere a tutti i costi: ci sarebbero alcune teste di pietra scolpite da Modigliani sul fondale di un fosso, da qualche parte vicino alle casa dove le scolpì nel lontano 1912 (o 1909), durante l’ultimo soggiorno labronico. Detto e fatto, si fa dragare il fosso e voilà: ecco le teste. La Durbè, quando le teste emergono dal fango, non gli dà nemmeno il tempo d’asciugarsi e già ne assicura l’assoluta paternità modiglianesca ai quattro venti, la seguono a ruota (nel fosse viene trovato anche un originale carretto dell’ottocento) personaggi più importanti della critica d’arte, uno per tutti Giulio Carlo Argan, deputato ed ex sindaco di Roma. Ma le teste sono false e la burla del secolo è riuscita in pieno, gli autori sono quattro studenti e ne forniscono le prove. Fine della storia? No, per nulla. L’Affaire Modì, è una storia ben più complessa, una storia con tante storie dentro, che attraversa tutto il secolo e ci racconta la bella e verace Livorno. C’è la storia di Angelo Froglia, autore di due delle tre teste gettate nel fosso, che più che ad uno scherzo pensava ad una performance seria, innestata di miti greci e rabbia esistenziale, un attacco al potere che colpisse al cuore la critica d’arte ufficiale, ma fu anticipato dai quattro studenti che dimostrarono in diretta televisiva come fossero loro gli autori dello sputtanamento del secolo. E poi qualche anno dopo spuntano altre tre teste, probabilmente vere, tenute all’asciutto per quasi un secolo e ora possedute da un carrozziere, sono le teste che l’autore segue fin dalla creazione, per raccontarci Modì a Livorno nel 1912, e poi seguirle ancora per alcune significative istantanee popolari su fascismo e guerra nella città dei quattro mori. Queste tre teste sono attualmente detenute in un caveau di una banca, in attesa di giudizio, un po’ come l’arca dell’alleanza di spilberghiana memoria, nella sequenza finale dei Predatori dell’Arca Perduta: un oggetto potente, sempre pronto a sconvolgere le vite umane, così come queste maledette teste di pietra, dai lineamenti africaneggianti, alla maniera di Modì.
(Intervista a Daniele Cerrai)
Come ti saltò in testa di scrivere un romanzo su queste teste?
Il germe dell’idea mi è stato iniettato da un amico scrittore, che preferisce rimanere anonimo. L’idea è rimasta lì per un paio di libri, poi è sbocciata quando ho letto di Angelo Froglia, in lui ho trovato un po’ di quel pulp che è il mio marchio di fabbrica. Ho iniziato le ricerche bibliografiche nel dicembre 2012, un mese dopo è partita la scrittura. Scrittura e ricerca sono andate avanti a fasi alterne, compatibilmente col lavoro, quello che ti dà i bollini per la pensione, che quello ha la precedenza sul portafoglio e sulla testa.
Angelo Froglia: un grande artista sottovalutato o cosa?
Froglia per molti è stato solo un tossico, per altri ha fatto cose significative. Io non ho basi artistiche troppo solide, né conosco la sua produzione, quindi no comment. Ma se guardo alla sua vita e all’idea della beffa, non posso che vederci un parallelo lunghissimo con Modigliani.
Una beffa politica?
Il rovesciamento del potere idealizzato da Froglia e dalla sua compagna, Clara Laterza, è stato messo in disparte dal ben più rassicurante ‘scherzo’, perché ad uscire per primi allo scoperto furono gli studenti. Altrimenti sì che sarebbe stato un trionfo dada. E chissà quando sarebbe finita…
Froglia e gli studenti hanno avuto un’idea simile, si conoscevano?
Le azioni degli studenti e di Froglia si svilupparono in maniera ‘stagna’. Nessuno era a conoscenza dell’altro. A posteriori, come riporto nel libro, c’è da meravigliarsi che a buttare le teste siano stati solo due gruppi, perché l’idea di far trovare qualcosa passò per la testa a molti.
Le teste, ora, dove sono?
-Ad oggi ci sono le tre false teste del duo studenti+Froglia chiuse nei granai di Villa Mimbelli. Una testa fatta in diretta su rai2 dagli studenti è finita in casa Craxi, ad Hammamet, vai a sapere perché. D’una quinta fatta dal Froglia nel settembre ’84 per sollecitare i giornalisti, si sono perse le tracce. E poi ci sono quelle presumibilmente vere che sono tre e che sono in un caveau d’una banca a Livorno.
Qual è il fattore k di questa storia?
Scrivo nelle note a margine che a condurre tutto, per me, fu la follia. Le interviste che ho fatto non mi hanno ricondotto alle conclusioni dei carabinieri, che hanno teorizzato il dolo, realizzato materialmente dal Froglia con l’aiuto di alcuni dipendenti comunali. Le mie conclusioni sono opposte: Froglia e i dipendenti del Comune erano dei simpatizzanti della sinistra extraparlamentare, il loro fine era solo quello di screditare le istituzioni monolitiche del Pci del tempo. Resta il dubbio che la Durbè avesse dal principio l’idea di far trovare qualcosa. Io credo di no. Poi quando le teste uscirono dall’acqua, si convinse che fossero vere. E fu così che poi impazzì.
Daniele Cerrai – Grigio Modì – round robin edizioni
Daniele Cerrai presenta Grigio Modì a Pisa! Domenica 18 Maggio ore 20 al Cantiere San Bernardo, via Pietro Gori.
Ico Gattai