Un bel giorno potresti scoprire che non vivi nel tuo mondo dei sogni. Vedersi sgonfiare il castello che con tanta cura, e con i sacrifici di molti, hai costruito per la tua fiaba. Scommettere tutto in un colpo solo, e perdere rovinosamente. Hironobu Sakaguchi, direttore di The Last Story, ne sa qualcosa, visto che un tempo era sulla cresta dell’onda con la serie di Final Fantasy. E oggi, a quasi quindici anni di distanza da un film in computer grafica certo non orribile, ma costato fantastiliardi e spacciato, all’uscita, per la parusia del Redentore, non ha più né cresta, né onda, né serie.
Ciò non significa che non abbia smesso di sognare o farsi il culo. Ne è la prova questo gioco, bizzarro, sperimentale, a volte ricco e a volte povero, che racconta della vita di Zael, mercenario belloccio vestito Gucci alla testa di una banda di mercenari bellocci vestiti Gucci. Per quanto l’abbigliamento lo consenta, c’è sincera amarezza nelle vite di questi simpatici gaglioffi alla ricerca del posto fisso (bentornati, amanti del dato sociologgggico!), i quali, all’interno della solita catastrofe fantasy condita di esseri sovrannaturali e poteri occulti, cercano d’intortarsi una nobile casata con risultati non scontati.
Se Zael è un guerriero (sia pure un guerriero particolare), avrete a disposizione anche dei maghi nel gruppo. La genialità di The Last Story sta nel condensare questa dicotomia classica in un impianto action piuttosto semplice: oltre a prender parte direttamente alle schermaglie, dovrete impartire saltuari ordini ai vostri compagni d’avventura controllati dal computer. Il gioco inoltre, non pago della tradizionale riproposizione di nemici, magie ed equipaggiamento sempre più potenti, spariglia spesso e volentieri le carte con brevi missioni e divertissement pieni di chicche.
Insomma, non sarebbe uno dei classici giochi che partono in sordina e poi ti conquistano, se non ci fosse tutto l’amabile tratteggio del Sakaguchi d’annata, ostinato a credere in sé anche nel disincanto. Ci sono anche una traduzione e un doppiaggio da capogiro, fatti apposta perché possiate perdervi, anziché nelle regoline e nei numeretti, in un nuovo mondo, che poi è sempre stato lo scopo dei giochi di ruolo giapponesi. Felice che ogni tanto qualche giapponese si svegli e ce lo ricordi.
Tommaso Mongelli