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VideogioQ Ti fai troppe saghe

shannara

Con un tuffo nel passato un po’ più a fondo del solito, stavolta ci attende l’esame di un libro. Già, perché se ancora oggi questa serie di testi suscita attrazione e repulsione, negare l’importanza di La Spada di Shannara (datato 1977) per il genere fantasy, i giochi di ruolo e i videogiochi sarebbe quantomeno ingeneroso. Attenzione, inoltre, perché faremo un paio di anticipazioni in merito alla trama, quantunque veniali.

Nei dieci anni occorsi per la scrittura del capostipite di Shannara, Terry Brooks ha premasticato tutto Il Signore degli Anelli come se dovesse servirlo a una nidiata d’implumi, e così è stato. Solo che quegli implumi erano centinaia di migliaia di lettori, che proprio non conoscevano ancora il librone di Tolkien, o lo ritenevano troppo o troppo poco. Ed è qui, con questo testo che è un plagio tanto vergognoso quanto remunerativo, che nasce davvero il fantasy come lo conosciamo: quando, cioè, la fantasia svirgolona e totalitaria del professore di Oxford viene impietosamente trasformata in un canovaccio di stereotipi anche e soprattutto per far cassa. D’ora in poi, i nani saranno sempre collerici ma affidabili, gli elfi nobili e sdegnosi, e gli umani quelli che stanno sulle palle un po’ a tutti ma alla fine della fiera portano il risultato a casa.

Volete il cugino povero di Frodo alla ricerca di un talismano che scongiuri una guerra tra razze? C’è Sam? Gandalf? Gollum? Eowyn? Gimli? Taroccati debitamente e presenti all’appello. C’è perfino un Vermilinguo, e il compitino letterario viene così portato a termine in un terzo della durata dell’originale, aspetto che, se aiuta la lettura da ombrellone, si rivela a tratti e paradossalmente un peccato, perché Brooks ogni tanto butta lì degli spunti pregevoli (come le divergenze politiche dei protagonisti) e poi se li caccia laddove non batte il sole, col suo stile altalenante, rugginoso e smargiasso. E il progetto era quello di rendere Tolkien scorrevole ibridandolo col romanzo d’avventura!

Come mai, allora, siamo qui a parlarne? Perché i giochi, elettronici e non, hanno capito e carpito dall’esperimento di Brooks ciò che per Tolkien era quasi un sottoprodotto della creazione di mondi fantastici. Ovverosia l’avventura ignorante, quella a base di confronti fisici assortiti, e qui non ci sarà alcuna genuina morale pacifista a distoglierci dal mulinare delle spade e dal lampeggiare degl’incantesimi. Brooks è molto bravo, infatti, a inventare torreggianti mostruosità da abbattere a tutti i costi, ovvero gli odierni boss di fine livello, che a questo punto aspettano (ed è questione di mesi) solo l’invenzione ludica del concetto di punto esperienza, croce e delizia della ludologia moderna, per fare da colonna portante alle campagne dei giochi di ruolo.

Altra innovazione del libro è la natura postnucleare dell’ambientazione fantasy, natura ahimé anch’essa criminalmente sottoutilizzata, ma non certo dalle trame dei videogiochi che seguiranno. Per avere ulteriori prove del fatto che Brooks è nu bravo guaglione, e qualcosa di nuovo lo vuol mettere sul tavolo, c’è da arrivare alla fine del libro, ma è un viaggio che non tutti avranno voglia di sciropparsi. Come dargli torto?

Tommaso Mongelli
www.fandonia.net

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Pubblicato il: 30 agosto 2014

Argomenti: Quaderni, VideogioQ

Visto da: 927 persone

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