Con questo secondo film a tema Prima Guerra Mondiale entriamo decisamente nel vivo della guerra continuando ad andare sul sicuro con registi su cui si può contare. Questo poi un vero mostro sacro: Stanley Kubrik con uno dei suoi primissimi film, Orizzonti di gloria, del 1957.
Kubrik aveva 29 anni quando ha girato questo film e negli 88 minuti di durata si vede già tutta la ricerca di perfezione che ha sempre caratterizzato il regista americano – pare ad esempio che la scena dell’ultima cena dei condannati sia stata girata 68 volte. Il film è tratto da un romanzo che porta lo stesso titolo dello scrittore Humphrey Cobb e prende spunto da fatti realmente accaduti durante la guerra, quando a causa del fallimento di un attacco considerato da tutti suicida per conquistare una postazione nemica tedesca, tre soldati dell’esercito francese vengono accusati di codardia e condannati a morte per dare il ‘buon’ esempio al resto delle truppe.
Come gli altri due famosi film di Kubrik che parlano di guerra, Dr Strangelove e Full Metal Jacket, anche Orizzonti di gloria è un film anti-guerra che mette in luce le bassezze dell’arte della guerra in contrapposizione alla gloria. Già il titolo (in inglese è Paths of glory, cioè sentieri di gloria) che è tratto dalla poesia di Thomas Gray Elegia scritta in un cimitero campestre dichiara l’intento; lastrofa infatti recita così:
Il vanto di un nome illustre, lo sforzo del potere
e tutta la bellezza, tutta la ricchezza che mai sia stata data,
attende allo stesso modo l’ora inevitabile.
I sentieri della gloria non portano che alla tomba.
E poi, ancora a confermare la posizione politica del film c’è la citazione da Samuel Jackson “Il patriottismo è l’ultima risorsa del mascalzone” per bocca del Colonello Dax (Kirk Douglas), l’eroe disilluso.
Quindi, niente gloria in questo film, nessun eroismo nelle battaglie – nel film c’è una sola battaglia, quella suicida -, ma meschini giochi di potere, lampanti ingiustizie, i generali nelle ville e i soldati nel fango delle trincee, morti senza senso.
Praticamente nessuna donna nel film se non quelle che si intravedono durante un ballo e la cantante tedesce nell’ultima incredibile scena. Lei è Susanne Christian che poco dopo diventerà Christianne Kubrik, moglie di Stanley fino alla morte del regista.