Cari Lettori,
con InQuadriamo il diritto continuiamo a parlare di diritti delle coppie omosessuali e, dopo aver visto, sia pure molto sommariamente, qual è la situazione a livello europeo, vediamo ora in che modo sono regolamentate, in Italia, le unioni civili e, in particolare, le unioni tra persone dello stesso sesso.
Dell’argomento ne ha parlato anche Caterina Coppola proprio in questi giorni sulle pagine di questo giornale, spiegando la differenza che intercorre tra la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero.
Si tratta di problematiche assai vicine e che spesso si confondo tra di loro, ma che devono essere tenute nettamente separate a livello giuridico perché hanno effetti molto diversi tra loro. Oggi vedremo insieme in che modo sono tutelate le unioni civili omosessuali in Italia, nei prossimi articoli vedremo, invece, in che cosa consiste la trascrizione, in Italia, dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero.
Ad oggi sono tantissimi (circa centocinquanta) i Comuni italiani che hanno istituito i registri delle unioni civili, e il Comune di Pisa è tra questi. Con la delibera del Consiglio Comunale del 7 luglio 1997 (si tratta, ormai, di una realtà esistente da ben diciassette anni!), il Comune di Pisa ha istituito il registro delle unioni civili “sulla base della considerazione che le “unioni civili” o unioni di fatto, in quanto espressioni di convivenza liberamente scelte e quali manifestazioni sociali rilevanti, non si pongono in contrasto con le norme costituzionali che disciplinano la famiglia rientrando le unioni civili stesse nel riconoscimento offerto alle formazioni sociali ed alle conseguenti manifestazioni solidaristiche” (così si legge sul sito internet). A questo registro possono iscriversi tutte le coppie di persone conviventi da almeno un anno nel Comune di Pisa, che non sono legate tra loro da altri vincoli (ad es., matrimonio, legami di parentela ecc.) e che “vogliono iscriversi nel registro per motivi affettivi, solidaristici, di assistenza morale e/o materiale” (così è riportato sempre sul sito internet del Comune di Pisa).
Ma a cosa serve iscrivere un’unione civile in questi registri? Che effetti derivano da questa iscrizione?
Le persone che risultano iscritte in questi registri non assumono una particolare qualifica reciproca (non diventano, ad esempio, coniugi, parenti o altro) né dei particolari vincoli giuridici reciproci, perché l’iscrizione non attribuisce loro alcuno “status” specifico. L’iscrizione in questi registri consente, però, di ottenere alcuni benefici particolari, stabiliti di volta in volta dalle singole amministrazioni comunali. Ad esempio, chi si iscrive nei registri delle unioni civili potrà avere determinate agevolazioni a livello di politiche abitative, potrà usufruire di alcuni servizi per la scuola, di una particolare assistenza sociale ecc. Non esiste, tuttavia, un elenco dettagliato ed ufficiale dei “vantaggi” che l’iscrizione nei registri delle unioni civili porta con sé, perché, come già detto, questi sono diversi da Comune a Comune.
Inoltre, ed al di fuori degli aspetti di carattere pratico, l’istituzione, da parte dei Comuni, dei registri delle unioni civili ha una forte valenza simbolica, perché con essa le amministrazioni locali si impegnano sostanzialmente a non adottare politiche discriminatorie nei confronti delle unioni civili (eterosessuali o omosessuali) e, anzi, a dare risalto e visibilità a questa delicata problematica.
Per quanto riguarda, poi, in particolare le unioni civili tra persone dello stesso sesso, in assenza di un’apposita legislazione è stato compito dei Giudici della Cassazione e della Corte costituzionale quello di dettare dei principi e delle direttive alle quali il Parlamento italiano dovrà, prima o poi, conformarsi.
Partendo dal dettato dell’articolo 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce “i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, già nel 2010 la Corte costituzionale aveva affermato che “per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri” (Corte cost., sentenza n. 138 del 2010).
Nel 2012 è stata, invece, la volta della Corte di Cassazione che, chiamata a pronunciarsi in materia, ha affermato che “i componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se – secondo la legislazione italiana – non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia – a prescindere dall’intervento del legislatore in materia – quali titolari del diritto alla “vita familiare” e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di “specifiche situazioni”, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata” (Corte di Cass., sentenza n. 4184/2012).
Quest’anno la parola è, infine, tornata alla Corte costituzionale che, superando anche gli ultimi ostacoli, ha affermato molto chiaramente che “sarà … compito del legislatore introdurre una forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione, su tal piano, di assoluta indeterminatezza. E tal compito il legislatore è chiamato ad assolvere con la massima sollecitudine per superare la rilevata condizione di illegittimità della disciplina in esame per il profilo dell’attuale deficit di tutela dei diritti dei soggetti in essa coinvolti” (Corte cost., sentenza n. 170 del 2014).
A questo punto, la “palla” passa al parlamento, invitato dalla Corte costituzionale ad introdurre nel nostro ordinamento, e “con la massima sollecitudine”, una tutela per le coppie di fatto: nel frattempo, le unioni civili eterosessuali e omosessuali potranno essere regolamentate soltanto mediante l’utilizzo di singole disposizioni di legge che, come tante tesserine di un mosaico, possono offrire fin da ora alcune tutele specifiche in alcuni specifici settori.
Vi aspetto la prossima settimana per vedere insieme in che modo può comporsi questo “mosaico”!
Non mancate!