C’è anche un ricercatore pisano dietro un esperimento molto particolare condotto nei laboratori dell’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna. Giulio Rognini fa parte del team di Olaf Blanke, neuroscienziato di fama mondiale, che è riuscito ad indurre artificialmente il fenomeno del feeling of a presence, la strana sensazione di avere qualcuno vicino a sé, quando in realtà nessuno è presente. Una sensazione percepita da pazienti psichiatrici e neurologici e in alcuni casi da individui sani in condizioni estreme, indotta per la prima volta in un campione di persone non affette da disturbi mentali utilizzando un robot. Il risultato della ricerca è stato pubblicato su Current Biology e sta facendo il giro delle riviste specializzate.
Nel 2006 Olaf Blanke ha indotto il feeling of a presence in una paziente affetta da epilessia attraverso degli elettrodi impiantati nel cervello che lo stimolavano elettricamente. Quando stimolata in una specifica parte del cervello, la paziente percepiva la sensazione di un’invisibile presenza alle proprie spalle. Curiosamente, i ricercatori si sono accorti che la percezione della presenza “aliena” era legata alla posizione occupata nello spazio dal paziente. Se la persona era in piedi avvertiva una “presenza” in piedi, se si sedeva la “presenza” faceva lo stesso. Con alcune intensità di corrente la sensazione era addirittura quella di essere abbracciati. La spiegazione del fenomeno, spiegata in un articolo uscito nel 2006 su Nature, la Bibbia delle riviste scientifiche, confermava l’origine sensoriale-motoria del fenomeno. Blanke ipotizzò che il cervello della paziente non riuscisse ad integrare in maniera corretta i propri segnali corporei, attribuendoli ad un’altra presenza.
Nel nuovo studio, le prove sono state ripetute allargando il campione e confermando di fatto la specularità tra posizione della “presenza” e quella dell’individuo che la percepisce, e soprattutto il fatto che le zone del cervello coinvolte sono quelle che integrano le varie sensazioni che permettono di concepire il proprio sé corporeo. I risultati supportano l’ipotesi che il fenomeno del feeling of a presence sia dovuto a una cattiva interpretazione dei segnali corporei. “Noi diamo per scontato che il nostro sé e il nostro corpo siano connessi in maniera costante e affidabile – spiega Giulio Rognini – l’esperimento invece sembra dimostrare che il cervello ha tante rappresentazioni del nostro corpo, date da tutti i sensi. Quando il cervello non è in grado di integrare i segnali correttamente, le sensazioni non sono più attribuite al nostro sé ma ad un essere esterno, ad una presenza”.
Il passo successivo è stato quello di perturbare i segnali corporei di soggetti sani. Per farlo è stato utilizzato un robot, che si limita a ripetere i gesti compiuti dall’uomo con un leggero ritardo. In tutti i casi la sensazione di essere toccati sulla schiena era attribuita ad una presenza estranea, definita da molti creepy in inglese, inquietante. Da qui a parlare di fantasmi per i giornalisti il passo è stato breve.
“Abbiamo contribuito a dimostrare che la percezione del sé è fondata su uno sforzo incredibile del cervello per mettere insieme questi segnali – racconta il ricercatore pisano – se il sistema è danneggiato, o come in questo caso perturbato dal robot, va in tilt”. Le implicazioni per la medicina di questa scoperta sono importanti. “Ad esempio nella risposta ad una domanda che la medicina si pone da molto tempo – dice Rognini – quali sono i meccanismi alla base delle allucinazioni riportate da pazienti psichiatrici? Secondo le nostre ricerche questo deriva dal tilt del sistema cerebrale che integra i segnali corporei, permettendoci di differenziare il nostro sé da ciò che è altro. Tramite stimolazioni appropriate, potrebbe essere possibile “allenare” i pazienti con sintomi psicotici a migliorare i confini tra sé e l’altro”.
Giulio Rognini vive e lavora a Losanna da 5 anni, dove si è trasferito dopo aver conseguito una laurea in Ingegneria biomedica all’Università di Pisa. Il suo campo di ricerca è a cavallo tra la robotica e le scienze cognitive. “Oltre agli aspetti tecnici mi affascinano particolarmente gli aspetti legati alla percezione – spiega il 30enne pisano – in un certo senso siamo al confine tra le scienze empiriche, la tecnologia e la filosofia, e questo mi intriga”.