Il ventesimo secolo è appena cominciato; New York è una città in crescita rapida e incontrollata, avvinta da miseria e violenza. Al centro della polveriera si staglia il Knick, avveniristico ospedale in cui campeggia l’istrionica figura del dottor Thackery.
Dottore illuminato, devoto alla scienza, fiero assertore del positivismo, il chirurgo è il protagonista indiscusso della sala chirurgica, il theatre. In effetti, le analogie con un vero teatro non mancano: uno spettacolo coinvolgente, oggetti di scena (tra cui annoveriamo il moribondo) e una platea di scienziati tutta intorno, tesa a non perdere neanche un particolare dell’estremo spettacolo. Al centro dell’arena l’ipnotico dottor Thackery: capace, brillante, cocainomane.
Si sentiva la mancanza di un medico geniale e dannato dalla conclusione (necessaria, ma tragica) di House. Anche Thackery è tossicodipendente e workaholic, non disdegna le prostitute ed è interpretato da un grande attore inglese (Clive Owen). In aggiunta, una nota di colore (ah-ah): Thackery è fieramente razzista e vagamente misogino, a dimostrazione che anche un medico illuminato poteva solo parzialmente discostarsi dalla mentalità dell’epoca.
L’ospedale diventa quindi luogo d’incontro di queste minoranze che lottano per essere accettate: una signorina nel consiglio di amministrazione dell’ospedale; un medico afro-americano nella sala chirurgica di Thackery. Ovviamente, sono nient’altro che sognatori che inanellano drammatiche sconfitte; al massimo, qualche piccola vittoria frutto del paternalismo degli uomini e/o bianchi.
La serie è attraversata da semplici e brevissime story-line verticali: casi medici a cui viene riservato poco spazio. Di solito si tratta di una malattia inspiegabile nel 1900 e curabile con una manciata di pasticche nel 2000; il chirurgo entra in azione, un paio di scene splatter e si conclude tutto con la morte – pressoché inevitabile – del moribondo. Il punto, infatti, è la storia orizzontale: il progresso. Quel che veramente interessa non è il piccolo risultato (ossia salvare una vita) ma fare un passo avanti, capire come se ne possono salvare molte di più. Del resto, come tutti i personaggi si affannano a ripetere: “we live in a time of endless possibilities”.
Inoltre, qualche gradevole elemento di medical drama (si sa, la coppia eros- thanatos favorisce l’accoppiamento) e personaggi secondari tanto epici da invocare lo spinoff.
Steven Soderbergh firma la regia di tutta la prima stagione: è un trionfo. Eccellente anche la colonna sonora electro rock, che sorprendentemente calza a pennello le narrazioni della caotica, aggressiva e minacciosa New York di inizio secolo. 10 puntate, una seconda stagione già rinnovata da Cinemax ancor prima che il pilot andasse in onda: the Knick è un piccolo capolavoro.