L’intervista a Sandro Bettin che venerdì 6 febbraio inaugura la sua mostra “I Muri ci Guardano” nel foyer del Cinema Arsenale. Foto di Dania Gennai
Una piccola intervista a Sandro Bettin, artista.
Ma se i muri ci parlano, cos’è che ci dicono?
I muri ci guardano, se parlassero ci direbbero che vogliono essere imbiancati, che subiscono troppi imbrattamenti senza un senso. Non capisco il perché di tutta questa selva di segni, ci leggo un po’ d’egoismo e ci capisco molto poco, ammesso che ci sia qualcosa da capire. Sembrerò banale, ma ai miei tempi, chi usciva di notte con la pennellessa da tre chili e scriveva, non senza un qualche stile, Lavorare Meno Lavorare Tutti, ci faceva una figura infinitamente migliore. Proponeva una prospettiva, provava a comunicare.
Però sui muri qualche graffito bello, o qualche frase simpatica, appare ancora, no?
Può essere. Facciamo che prima li rimbianchiamo tutti. E poi ne riparliamo.
Perché metti gli occhi nei muri?
Mi sono messo dalla parte del muro, mi sono domandato: cosa mi dice il muro quando mi guarda? Da questa riflessione nascono i lavori che espongo all’Arsenale, opere abbastanza piccole, cose su tela, a tecnica mista, non solo collage.
Ci puoi descrivere il momento della nascita?
Camminavo in Via delle Sette Volte, a Pisa, c’erano muri, ridotti in pessime condizioni, che mi guardavano, allora mi scatta una valvolina in testa, torno a casa e mi metto al lavoro. Provo a ricomporre su tela quel tipo di sensazione, utilizzando anche simboli e figure che caratterizzano le mie cose da diversi anni. Le opere che espongo all’Arsenale sono principalmente il frutto di una full-immersion di una decina di giorni. Però Il discorso sugli occhi nei muri riguarda anche un progetto più grande che vorrei realizzare, una parete intera che ci guarda. Mi son fatto spedire mille occhi finti da Shangai, occhi da bambola, palpebre mobili e ciglia lunghe.
Vuoi raccontare un’antica bellezza rovinata da una disastrosa contemporaneità?
Detta così potrebbe essere letta come una semplificazione, non m’interessa un’acritica adorazione del passato. In ogni caso un tempo anche un normale scalpellino faceva cose di livello superlativo, aveva una manualità maturata in anni e anni di bottega. Entro nelle Chiese di Pisa e rimango estasiato da dettagli di assoluta bellezza, e sono particolari eseguiti da artigiani di cui non sappiamo il nome, lavoratori. Ecco quello che oggi è quasi impensabile, un tempo era lavoro quotidiano, normale, di certo non ci s’improvvisava artisti come oggi, prima di scolpire un capitello ci avevi da fare tremila pietre quadrate, prima di dipingere un angelo, hai idea di quanto colore ci avevi da impastare? Però non leggete questi miei pensieri come verità inamovibili, del resto, come diceva Durer, cosa sia la bellezza, non so.
Cuori che sanguinano, cuori che prendono fuoco, cuori avvolti in corone di spine, cuori arrugginiti. Perché utilizzi questi ex-voto nelle tue opere?
Sono cuori che sentono il tempo, cuori a termine, mi ricordano che l’arte non deve essere separata dalla vita e che l’esperienza artistica non può mai essere ridotta alle piccole felicità del piacere estetico.
Gli angeli che incolli che tipo di angeli sono?
Sono gli Angeli della Cappella degli Scrovegni.
Che significato hanno?
Testimoniano il mio passaggio dalla città di Padova, dove mi trattenni per qualche piacevole ora in codesta chiesa.
Come t’è venuto in mente di trasformare la P di CCCP nel monogramma di Cristo?
Perché? Non l’aveva mai fatto nessuno?
Ico Gattai
Sandro Bettin – I Muri ci Guardano
Inaugurazione della mostra – Venerdì 6 febbraio ore 19e30 nel foyer del Cinema Arsenale, vicolo Scaramucci 2, Pisa.
Io vado a scambiarmi due sguardi con i muri.
Anche le tele ci guardano, spesso molto male.