“La domenica della vita: la storia dell’arte nell’era di Twitter”. Per costruire percorsi capaci di valorizzare il patrimonio della città basterebbero talvolta indicazioni minime, ma anche iniziare pensare una rete di informazioni tese a “fare sistema”
di Lorenzo Carletti e Cristiano Giometti
Bacheche, cartelli, pannelli, codici QR e schermi multimediali disseminati per le vie del centro a ricordare al passante dove si trova, come si chiama e, già che ci siamo, fare un po’ di pubblicità. I vari tipi di segnaletica turistica presi in esame la volta scorsa nascono ciascuno da un progetto speciale di cui è capofila una volta la Camera di Commercio, un’altra il Rotary, un’altra volta ancora il Comune di Pisa; ogni istituzione è gelosa del proprio percorso, persino dal punto di vista grafico, e il risultato è una sovrapposizione confusionaria che denota l’assenza di unità d’intenti.
Si costruiscono piccoli templi mediatici per minuscoli codici QR
Le ditte informatiche hanno il loro da fare con programmi, fibre, codici, reti e il contenuto passa spesso in secondo piano, diventa cioè accessorio. E poi c’è contenuto e contenuto: mostre ed eventi vengono costantemente aggiornati, le schede (generalmente ben scritte) sugli edifici e i monumenti storici forniscono invece informazioni logistiche confuse e confondenti. Ad esempio, il turista venuto appositamente per visitare il famoso quartiere pisano di Sant’Antonio, giunge di fronte alla Domus Mazziniana e trova un piccolo cartello metallico che fa il sunto della storia di questa biblioteca-archivio e ne dà una descrizione (peccato, però, che buona parte dei fondi di cui si fa menzione da tempo giacciano in un magazzino di Perignano di Lari). Sul cartello non compaiono gli orari di apertura, allora il turista si affida al suo smart-phone: punta il codice QR e viene a sapere che “la Domus Mazziniana è temporaneamente chiusa per interventi tecnici di adeguamento alla vigente normativa”. Se il turista ha un minimo di spirito critico è probabile che si chieda di quale normativa si tratti: quella museale? Oppure la normativa sulla sicurezza? Sul lavoro precario? Sarebbe meglio non specificare e dire “temporaneamente chiusa”, senza riportare date.
Al contrario, si preferisce tacere nel caso della chiesa di San Paolo a Ripa d’Arno, chiusa e puntellata da oltre tre anni per gravi problemi strutturali (il restauro richiede almeno € 2,5 milioni, che per ora non si trovano). Non ci sarebbe niente di male a raccontare che lo stato di salute del monumento desta preoccupazione e ci si sta muovendo per salvaguardarlo, ma si potrebbe persino tentare di alleviare la temporanea delusione del turista fornendo altre notizie: banalmente, dato che su un pilastro interno della chiesa si conservano (chissà oggi in quale stato) preziosi frammenti della decorazione ad affresco realizzata da Buffalmacco e aiuti, si potrebbe incoraggiare una visita al Camposanto monumentale, ove si trova il ciclo del Trionfo della morte (1336-1341) sempre di Buffalmacco, oppure al Museo nazionale di San Matteo, dove si conserva la grande tavola di Sant’Orsola che salva Pisa dall’alluvione eseguita proprio per San Paolo a Ripa d’Arno e attribuita a Bruno, uno dei fedelissimi del pittore fiorentino.
Indicazioni minime, che metterebbero in risalto la sinergia tra principali istituzioni responsabili del patrimonio culturale. Invece è quanto mai assordante il silenzio anche nel caso della chiesa della Spina, chiusa da un paio di anni con la breve parentesi della mostra sui fili a piombo. Da settembre è avvolta da ponteggi, perché necessita di un restauro al tetto, che tuttavia non è mai cominciato (€ 200mila la cifra preventivata). Nessuno, né in Comune né in Soprintendenza e tantomeno tra le ditte informatiche responsabili del Walking in the city, ha pensato di comunicare ai passanti quel che sta o non sta accadendo (si tenga presente che per la chiesa sopracitata di San Paolo a Ripa d’Arno l’Arcidiocesi ha meritoriamente voluto realizzare per proprio conto dei pannelli informativi, purtroppo già invecchiati). Anche qui basterebbe poco ad allestire una semplice ed economica segnaletica – magari a coprire le reti metalliche che circondano la chiesa – per ricordare che le sculture originali dell’esterno sono protagoniste assolute, da un paio di anni, di una delle più suggestive sale del Museo di San Matteo, assieme alla Madonna del latte di Andrea e Nino Pisano (“opera inamovibile” del Museo, ma quali sono le altre?) e a una grande tela di Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma. La chiesa è “temporaneamente chiusa”, ma le sue meraviglie sono al museo.
In genere si potrebbero pensare una rete di informazioni tese a “fare sistema”: davanti al murales di Keith Haring richiamare la collezione del Museo della Grafica, di fronte alla chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri – ove si trova la Natività di Bronzino – invitare a visitare il Museo di Palazzo Reale per vedere il Ritratto di Eleonora di Toledo dello stesso maestro. Si potrebbero osare collegamenti simili persino su un terreno meno specialistico, ad esempio sul Ponte di Mezzo dovrebbe essere scontato – ma siamo certi che non lo è nemmeno per i pisani – il richiamo agli antichi armamenti esposti al Museo di Palazzo Reale e così pure agli abiti conservati nella Torre Guelfa. Si passerebbe in tal modo a immaginare una fruizione meno seduta e passiva da parte del visitatore, che verrebbe “invitato ad approfondire” con una serie di spunti che gli permettano di orientarsi e spostarsi autonomamente sulla mappa, non più “imboccato” o “distratto” come un bimbo capriccioso tenuto per mano.
Per far ciò è necessario cominciare a mettere a sistema le tante istituzioni che gestiscono i beni culturali in città (Ministero, Curia, Comune, Università, Palazzo Blu, Opera della Primaziale), a partire dalla Soprintendenza, cui potrebbe spettare il compito di coordinare le attività coinvolgendo docenti e studenti. Nell’occasione, magari, si potrebbe trovare il modo di garantire l’apertura di chiese difficilmente visitabili, di cui in rete si trovano le schede – su tutte San Pierino, San Zeno, San Silvestro, Sant’Agata –, di collegare con mezzi pubblici la torre pendente e il Museo di San Matteo, persino cercare di attivare un biglietto unico anche solo dei Musei dei Lungarni. Solo così avremmo superato il presupposto secondo il quale lo smart-phone ci guida ovunque, motivo per cui i percorsi turistici e persino l’Info Point di Piazza del Duomo sono gestiti da società informatiche che si avvalgono della semplice manodopera di storici dell’arte, archeologi e umanisti in genere. Anche in questo caso, una vera sinergia nel pieno rispetto di competenze e professionalità è alla base di qualsiasi progetto alla scoperta del patrimonio culturale e più latamente alla sua tutela e valorizzazione.