Incertezze, aspettative, omologazione: ritratto degli adolescenti pisani e di cosa si fa per non lasciarli soli
in collaborazione con Il Fogliaccio
Uno ascoltava il metal, l’altra si era coperta troppo per essere settembre, l’altra ancora aveva i capelli legati ma in realtà li avrebbe voluti sciolti. Uno parla con la madre davanti alla scuola e un po’ la sta odiando, l’altro, dall’altra parte della strada, con la madre non ci parla mai. Viaggiatori dell’età giovane, non ancora 18enni, ragazzi e ragazze provano a dirci che qualcosa non va, che gli abbiamo dato un sonoro “pacco” con questo mondo storto e instabile. Lo dicono con i loro eccessi, cronicamente incompresi e linguisticamente lontani. Gli adolescenti non si possono ignorare, gli adolescenti che per cause biologiche e sociali sono voraci sensation seeker, cacciatori di sensazioni, “forti”, disposti a tutto, anche a correre rischi e mettersi in pericolo, pur di ottenerle e viverle.
Silvia Abbate è una psicologa e ci racconta che gli adolescenti “cercano figure adulte, anche in contrapposizione ma in qualche modo autorevoli”, e che l’assenza generalizzata di queste figure – è la società stessa a produrne di meno o di più superficiali – provoca un disorientamento in chi si appresta a entrare nel mondo adulto. Sembra banale, ma anche le statistiche ci parlano di un coinvolgimento forzato della gioventù in un contesto di precarietà diffusa e del disagio profondo che questo provoca: No future, come il più classico mantra punk.
La paura di non trovare un lavoro è diffusa, e con questa la consapevolezza di un futuro precario
Con Internet si apre un mondo, non sempre pieno di belle scoperte: alla domanda “ti è mai capitato di trovare online…” i ragazzi che hanno risposto “foto o video imbarazzanti che ritraggono i coetanei”, sono stati il 40,1%, un numero altissimo. Tre ragazzi su dieci hanno trovato foto proprie online, che per quanto non imbarazzanti non avevano ricevuto una preventiva autorizzazione ad essere diffuse. Il 23,6% vi ha trovato pettegolezzi o falsità sul proprio conto, il 20,8% foto o video imbarazzanti che ritraggono altri adulti di loro conoscenza, il 17,5% foto o video imbarazzanti riguardanti i loro insegnanti.
Si fugge da casa perché spesso la famiglia è un luogo inospitale. Ma scappare resta un trauma
Si beve tanto, si beve presto (parliamo di alcolici). Si fugge da casa perché la famiglia è un luogo inospitale e anche se tra idea e azione corrono tante variabili, e sono pochi quelli che lo fanno davvero, scappare da casa resta comunque un evento traumatico alla base del quale vi è sempre un profondo disagio che va ascoltato.
Le risposte dei ragazzi chiariscono che sono le dinamiche interne alla casa stessa ad averli spinti ad allontanarsene. In questo senso, il rapporto con i genitori sembra essere determinante: più di un quarto degli adolescenti ha deciso di scappare da casa perché non riesce ad andare d’accordo con loro o perché limitano troppo la propria libertà. Ci si sente incompresi e la casa non è un posto piacevole dove stare per chi sente litigare spesso i genitori o non è riuscito ad instaurare un rapporto sereno con il nuovo compagno/a della madre o del padre. A volte si scappa di casa anche per motivi che non riguardano la famiglia: fughe amorose, disastri scolastici, problemi di bullismo.
Che la gioventù sappia ancora sorridere e sorprenderci lo sappiamo, e non va dimenticato. Loro stessi hanno risposto in maggioranza di sentirsi prevalentemente felici e divertiti. A volte sono oscurati dalla noia, che li coinvolge in gran misura, o dall’ansia, anch’essa diffusa. Sebbene dichiari di non soffrire di solitudine, una parte rilevante del campione ne soffre qualche volta o spesso, quasi un ragazzo su tre. Lo stesso vale per i sentimenti di depressione, rara o del tutto assente rispettivamente nel 36,9% e nel 31,4% degli adolescenti intervistati, ma comunque presente qualche volta o spesso nel 30,8% di essi.
Giovani che soffrono, cosa fanno le istituzioni? Ne abbiamo parlato con Cristina Fellini della Società della Salute; il suo ufficio ha predisposto due azioni: i centri aggregativi e le attività in strada. A questi si aggiungono gli sportelli nelle scuole, in collaborazione con altre istituzioni. Infatti tutte le scuole dei comuni che afferiscono alla conferenza educativa di zona pisana hanno attivato degli sportelli di ascolto gestiti da operatori e operatrici dei consultori ASL. Ogni scuola ha un monte ore piccolo, 70 ore all’anno, dedicato a insegnanti, genitori e alunni. Un servizio unico che nonostante le poche ore è ora al terzo anno e ha avuto una risposta molto positiva. Nel 2014 sono state 424 le ore di ascolto per 416 studenti delle scuole superiori. 105 insegnanti hanno utilizzato lo sportello, insieme a 54 genitori. Anche a età più basse ci si è rivolti allo sportello: negli istituti comprensivi sono stati infatti ascoltati 482 alunni, un centinaio di insegnanti e oltre 200 genitori.
Chi ha problemi seri, di tipo economico, psicologico o altro, può seguire percorsi legati ai servizi sociali, ed esiste inoltre un protocollo fra istituti comprensivi per la segnalazione dei minori a rischio. Un collegamento fra le scuole e gli altri servizi che punta ad avvicinare, in caso di necessità, studenti e famiglie alle istituzioni.
Le attività di strada invece si rivolgono per lo più agli adolescenti. Il servizio è svolto dalla cooperativa Arnera e dai suoi 10 operatori che tra i comuni dell’area pisana e il capoluogo svolgono un compito delicato e importante, quello di affiancare i gruppi di giovani e capire se ci sono problemi, difficoltà, e in quel caso, lavorare assieme sugli stili di vita. Anche nei tre centri aggregativi si fa questo, con l’affermazione di pratiche e di relazioni, l’importanza delle scelte, imparare a risolvere i problemi. Circa 400 le ragazze e i ragazzi che hanno partecipato alle attività dei centri solo nel primo semestre del 2014, ma altrettanti sono rimasti nella noia delle selle dei motorini o sugli scalini di case anonime. “Mancano gli spazi informali”, fa notare Fellini, “quei luoghi che non sono neutri come le strade, ma che stimolano e favoriscono l’affermazione delle varie identità”. Identità che solo la gioventù sa esprimere e contraddire allo stesso tempo e che sanno essere molto creative.
Andrea De Conno, in un altro ufficio della Società della Salute, lavora invece con gli insegnanti attraverso un progetto sulle “Life skills“, le competenze di vita, come quelle che “nessuno ci ha insegnato” e che faticosamente abbiamo capito da soli. “Navigare le emozioni, imparare la resilienza, saper ascoltare, mostrare empatia”, tutte pratiche, spiega De Conno, che una volta imparate aiutano a vivere meglio. Sono 90 gli insegnanti che ad oggi hanno seguito gli incontri della SdS per poi trasmettere le loro nuove competenze agli studenti, e navigare assieme.