La domenica della vita: la storia dell’arte nell’era di Twitter
di Lorenzo Carletti e Cristiano Giometti
La nuova pavimentazione della prima parte di via Santa Maria è finalmente completata. Il risultato è un inizio di percorso più ampio e uniforme per chi lascia la Piazza del Duomo di Pisa e si avvia verso il centro della città: ben leggibili sono adesso l’edificio dello Spedale dei Trovatelli e l’adiacente chiesa di San Giorgio dei Tedeschi. Quest’ultima è stata fondata da una confraternita tedesca all’inizio del Trecento, ma nel secolo successivo ha perso la propria identità, per svolgere la funzione di cappella dell’attigua istituzione ospedaliera. Benché situata a due passi dall’affollata piazza del Duomo, la piccola chiesa vive ancora un’esistenza periferica e tale alterità è percepita dagli stessi pisani, che poco l’hanno visitata.
Questa sorta di crisi d’identità si riflette negli appellativi con cui nel corso dei secoli San Giorgio è citata nei documenti: “dei Tedeschi”, “dei Teutonici”, “della Pace”, “dei Trovatelli”, “dello Spirito Santo”, “degli Innocenti”, “degli Esposti”. Nella sua storia si sono alternati sporadici momenti di vivacità artistica a periodi di abbandono, fino ad arrivare, tra Otto e Novecento, a un utilizzo quasi esclusivo come magazzino di opere d’arte. Augusto Bellini Pietri fu l’ultimo a denunciare, nella sua guida alla città del 1913, lo stato di degrado della chiesa, cui verrà posto riparo due decenni dopo con un rifacimento architettonico in stile, curato nel 1938 dall’allora Soprintendente Pèleo Bacci (risale a quel tempo il rifacimento in mattoncini rossi). Pochi anni prima – esattamente nel 1918 – lo stesso Bacci aveva fatto sostituire la mostra di portale quattrocentesco con una copia, collocando l’originale all’ingresso del chiostro; similmente, aveva fatto rimuovere l’antica ruota in marmo dalla facciata per ricomporla “nell’ingresso del palazzotto” per motivi conservativi.
Di proprietà dell’Azienda Ospedaliera Pisana, l’intero edificio, chiesa compresa, è al momento in totale abbandono, a seguito dello spostamento massiccio delle cliniche ospedaliere nella nuova sede di Cisanello. La decorazione di facciata è in condizioni fatiscenti e persino quello stemma mediceo ad affresco, ancora nitido nella memoria di molti pisani, è ormai completamente svanito. Parimenti, il tetto e parte del prospetto della chiesa, benché oggetto di un restauro piuttosto recente, presenta un’enorme macchia di umidità con evidente affioramento di sali. La totale fatiscenza del blocco architettonico stride con la pavimentazione rinnovata di via Santa Maria: l’11 febbraio scorso, a seguito di un intervento dei Vigili del Fuoco si è resa necessaria la realizzazione di una protezione in legno, a circa due metri d’altezza, per parare i passanti da ulteriori cadute d’intonaco e di parti in pietra arenaria. Nel verbale dell’ordinanza comunale, che ha imposto la messa in sicurezza dell’edificio, si legge: «Malgrado la porzione interessata sia di modesta entità, considerato lo stato di degrado e vetustà del rivestimento della facciata non si può escludere che un ritardo dei lavori per il ripristino delle condizioni di sicurezza possa ulteriormente aggravare la situazione». Degrado e vetustà nei pressi di una delle piazze più celebri del mondo.
Le prime due gare per la vendita dei Trovatelli sono andate deserte.
Non che certi edifici di proprietà privata godano di migliore salute e la recente esperienza civica della pur breve riapertura di palazzo Boyl sul Lungarno Mediceo ne è una chiara dimostrazione. Altrettanto sconfortante è la condizione di degrado in cui versa da tempo il Palazzo Prini-Aulla, meglio noto come Mazzarosa, sul Lungarno Pacinotti, la cui maleolente facciata è da un decennio coperta anch’essa da impalcature in legno per salvaguardare i passanti dalla pioggia di detriti (tra parentesi non è stato mai regolato il pagamento dell’occupazione di suolo pubblico per un danno di almeno 20.000 euro per le casse comunali). Non immaginiamo quali possano essere le condizioni all’interno del palazzo, ma dagli attigui uffici del rettorato hanno osservato di recente un parziale crollo del tetto e anche in questo caso il degrado procede spedito, senza il minimo intervento da parte dei proprietari.
Giulio Carlo Argan, allora sindaco di Roma, di fronte allo stato di abbandono di Villa Torlonia col suo parco e i numerosi edifici intervenne con un’ordinanza di esproprio avviando un processo virtuoso di riqualificazione
Oggi quello di Villa Torlonia è uno dei parchi più belli e vissuti di Roma, perfettamente integrato nel quartiere nomentano. L’esproprio ha funzionato perché nel tempo, e pur con molte difficoltà, l’amministrazione della capitale si è presa cura di quel bene della collettività. Nel nostro caso, se le autorità locali intervenissero c’è da temere che, purtroppo, non saprebbero come gestire il Palazzo Mazzarosa, e infatti tacciono senza neanche reclamare il pagamento dell’occupazione di suolo pubblico per via delle impalcature, né pretendere dai proprietari un minimo di decoro per l’affaccio sul Lungarno.
Una sola domanda: con quali soldi, esattamente, il Comune dovrebbe acquistare e riqualificare i vari palazzi elencati nell’articolo? Espropri e riqualificazioni non costano 20.000 euro (e non mi si controbatta velleitariamente che “i soldi per riqualificare via Santa Maria si sono trovati”, perché sapete benissimo che al 60% questi lavori sono stati finanziati dalla Regione)
Gentile Simone, non pensa che il Comune potrebbe chiedere alla Regione finanziamenti per progetti più sensati rispetto ad alcuni dei Piuss in via d’attuazione? A cominciare dai totem multimediali, dal costo ben superiore ai € 20mila di cui sopra.
E a volte i progetti di riqualificazione “a costo zero” vengono bocciati senza spiegazione, forse perché non girano sufficienti affari…
Bravi, gran bell’articolo! Cominciano ad avere un senso certi volti della città sui quali facciamo correre in fretta lo sguardo con un po’ di imbarazzo.
Questo mancato guadagno da parte dell’amministrazione è un vero e proprio danno erariale. Ma non è possibile fare niente?
ottimo articolo. vi avevo letto anche nel precedente sui totem e il turismo ..diciamo mordi e fuggi, per pietà indotto da un sistema volto a strumentalizzare il concetto di divulgazione culturale a fini meramente speculativi. E dunque ecco un caso che ne presenta di simili in tante grandi, medie e piccole realtà toscane. Non sarà un paragone simile ma avete presente il bellssimo edificio delo zuccherificio adiacente all’attuale linea ferroviaria empoli – siena? Sarebbe un centro culturale e ricreativo bellissimo, se restaurato a dovere, oppure un centro espositivo. Su Pisa è più grave nella misura in cui si parla di un luogo ad alta densità turistica, di un’area prospiciente al gruppo del Duomo ma è pure la costante cifra di una civiltà dell’apparenza. Torna il concetto di turismo lampante e accecante che è il solo occhio a cui si vuole educare la gente. Qui inoltre, oramai da tempi, di frustrato c’è il benessere civico dei cittadini che si dimostra anche con il livello di parità e accesso culturale. Mi domando se tornerò mai ad esempio nella biblioteca della Sapienza.. Mi auguro che più pisani possibile leggano questo articolo.
Gentili Sigg. Autori di questo articolo, riguardo al palazzo Prini sul Lungarno Pacinotti:
1_ non è mai stato noto col nome di P. Mazzarosa ma ha sempre mantenuto il suo nome originale
2_ la facciata non è maleolente: processi naturali e biologici degli elementi + cattiva abitudine di molti animali di seminare deiezioni sui marciapiedi + vicinanza dell’arno + presenza di rete fognaria mi sembrano sufficienti elementi per una giusta illuminazione..
3_ non risulta il mancato tributo di un pagamento per occupazione suolo pubblico
4_ il Rettorato, Palazzo Vitelli, dopo aver rovinato e compromesso alcuni locali di Palazzo Prini a seguito di un invasivo consolidamento delle murature a confine tra i due edifici, non ha più niente da segnalare e 5_ non vi è stato recentemente alcun crollo del tetto
6_ l’edificio è sotto controllo e monitorato dall’anno della sua evacuazione d’urgenza, 1966. il sistema si è assestato già da molti decenni
7_ se si esclude il fatto che le finestre e persiane dell’edificio sono chiuse non vi è niente che comprometta il decoro del Lungarno
E non è vero che non vi è intervento da parte dei proprietari che amano questo edificio e vorrebbero come tutti i pisani vederne una sistemazione definitiva.
Condivido l’articolo per il semplice motivo che sono vere alcune situazioni da Voi segnalate, e queste stesse situazioni non riguardano solo Pisa ma l’Italia intera: abbiamo un patrimonio architettonico e culturale vastissimo, questo sta cadendo a pezzi e purtroppo sembra non avere nessuno in sua difesa.
Ma non condivido l’articolo nel momento in cui attaccate realtà di cui nemmeno siete a conoscenza. L’edificio in questione ha una storia talmente ricca e densa, e una struttura così complessa che non basterebbero 1000 pagine per raccontarla. Otto righe veloci di frasi inventate per suscitare scalpore….
Arch. LM