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Al Museo degli strumenti per il calcolo, senza fare i conti

Foto di Arianna Sarti

La prima cosa che si vede entrando nel Museo degli Strumenti per Calcolo è un Cray molto blu. Oggetto da interno modernista, sembra il divano di un salotto dove suona musica beat, in realtà è il supercalcolatore per eccellenza; il modello esposto al museo, un X-MP del 1982, fu il più veloce del mondo per un paio di anni dalla sua introduzione. È una sorta di feticcio dei musei del calcolo, ce l’hanno anche i musei di Monaco, Londra, Paderborn, Mountain View e Seattle. Un’icona della scienza omaggiata dalla cultura contemporanea in vari modi, dalla citazione nei romanzi di Jurassic Park o nel film di animazione Tron.

Ce lo spiega Giovanni Cignoni, collaboratore del Dipartimento di Informatica e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Galilei; per il Museo Cignoni si occupa della ricerca scientifica, della progettazione degli allestimenti e delle attività divulgative e didattiche, e da anni scava nella storia delle macchine per il calcolo.
Il Museo, che conta oltre 1.600 presenze annue, è parte del Sistema Museale dell’Università di Pisa, alla gestione e alle attività di ricerca partecipa la Fondazione Galilei, i cui soci sono appunto Univesità e Comune di Pisa. Nei progetti di ricerca sono coinvolti i Dipartimenti dell’Università, di Informatica, Ingegneria dell’Informazione e altre istituzioni di ricerca pisane come per esempio la Sez. pisana dell’INFN. I finanziamenti del Ministero e della Regione sono stati finora usati per i costi di gestione; con l’istituzione del Sistema Museale l’anno scorso si sta cercando di far passare la gestione ordinaria nel bilancio di Ateneo e usare invece i fondi ricevuti dalla Fondazione Galilei per sostenere ricerca e allestimenti.

La Cep
Lungo il corridoio ecco le tre aree, ciascuna delle quali racconta un’applicazione specifica delle macchine per il calcolo, il contesto storico, il percorso scientifico. Quello dell’archeologia dell’informatica ad esempio porta dritti alla sala dedicata alla Cep – acronimo che sta per Calcolatrice Elettronica Pisana – costruita a Pisa negli anni ’50 e conservata quasi intatta. Racconta Cignoni: “La Cep venne costruita con i pezzi della Macchina Ridotta, il primo calcolatore pisano, che fu ‘cannibalizzata’. Nel tentare di ricostruire la macchina – spiega – da una parte abbiamo proceduto con la ricostruzione “hardware”, ossia delle componenti materiali; lo abbiamo fatto ad esempio con l’addizionatore, ma si tratta di un processo che ha costi vivi e richiede di mettere mano alla macchina. L’altra strada è stata quella della ricostruzione virtuale, o simulazione. Abbiamo cioè ricostruito la struttura e il funzionamento della macchina attraverso un software il che ci consente sia di lasciare intatte le macchine, che di ritradurre la struttura della macchina in un linguaggio informatico aggiornato”.

“Quest’ultimo aspetto – prosegue Cignoni – ha ragioni di ricerca, in particolare facilita il confronto fra macchine dello stesso periodo o provenienti da luoghi diversi. I documenti sono spesso lacunosi e nel tentare di ricostruire il progetto originale ci siamo resi conto che molte carte non tornavano,per cui abbiamo dovuto lavorare per ipotesi da verificare sperimentalmente: è qui che entra in gioco la simulazione come insostituibile strumento di ricerca. Non per niente il progetto si chiama HMR – Hackerando la Macchina Ridotta, un nome che dà l’idea del lavoro intellettuale che c’è stato dietro”.

Gli spazi

E se la sala del Museo è contenuta in uno spazio piuttosto ridotto, la collezione non è certo tutta qui. “Il primo piano è pieno di materiali che non abbiamo esposto”, spiega Cignoni, “una parte degli spazi superiori è infatti adibita a magazzino, un’altra parte è invece dedicata ai laboratori – vitali – dove si svolgono le attività del Museo che riguardano lo studio, il restauro e la conservazione delle macchine. Si tratta di una sezione non aperta al grande pubblico ma disponibile per studiosi e ricercatori ed è visitabile per piccoli gruppi su richiesta. Anche se la palazzina è stata ristrutturata recentemente, non è stata pensata per accogliere grandi flussi di visitatori. Per quel che riguarda l’intera collezione del Museo, nostro malgrado al momento è dislocata su più sedi: oltre 2000 mq di magazzini in vari locali a disposizione dell’Università dove sono stipati moltissimi pezzi, molti appartenenti a calcolatori di grandi dimensioni, di una collezione di grandissimo valore”.

Da qualche anno a questa parte però il Museo sta subendo una graduale diminuzione degli spazi; in particolare con l’apertura del progetto Piuss per i vecchi macelli due palazzine sono state svuotate e sono in attesa di nuova destinazione. “Il nostro auspicio – conclude Cignoni – è che i disagi dovuti al cantiere siano le premesse di un futuro aumento degli spazi espositivi per il nostro patrimonio, un patrimonio che esposto e adeguamente valorizzato farebbe del Museo un attrazione di primo piano a livello internazionale”.

La collezione
“La base è costituita dalle macchine già di proprietà dell’Università, poi ci sono state alcune acquisizioni, diversi salvataggi e molte donazioni da privati. Tutto questo a partire dal ’93 – spiega Cignoni – anno in cui il Museo venne finanziato dallo Stato per la prima volta con una somma importante. Non solo privati hanno contribuito alla collezione del museo, ma anche istituzioni a partire dall’Università di Pisa, la scuola Normale, l’INFN, il Centro di ricerca dell’Enel di Pisa, il CNR”. Ultimamente riceviamo pezzi soprattutto come donazioni da privati, aziende e persone, è una cosa importante: siamo particolarmente grati a chi si ricorda del Museo prima di rottamare o buttare via un pezzo di storia dell’informatica”.

Olivetti e il calcolo personale La seconda sala è dedicata alle macchine Olivetti. Fra i vari esemplari esposti c’è anche una parte della cosiddetta ELEA 6001, una macchina prodotta in circa 150 esemplari che venne presentata alla Fiera di Milano e che il museo vorrebbe esporre nella stessa configurazione in cui era nello stand in cui fu presentato per la prima volta al pubblico. L’ultima sala in ordine di visita è infine quella del calcolo personale, che oggi chiameremmo “personal computer”, o più semplicemente pc. Si tratta di una carrellata di 58 “pezzi”, ma ce ne sono almeno altrettanti che meriterebbero di essere esposti per il loro significato tecnologico e per le storie che raccontano. I 58 esposti coprono circa 100 anni di storia del calcolo, con una visione suggestiva dell’evoluzione tecnologica ma anche di alcune costanti di progettazione, come la facilità d’uso, la velocità e la ricerca della portabilità della macchina: il primo calcolatore portatile che si chiude è infatti del 1865.

Sono oggetti bellissimi, “alcuni valgono anche solo per il logo”, dice giustamente Cignoni, ed è proprio così; le più vecchie evocano l’immaginario del contabile indaffarato con le maniche arrotolate, poi si trasformano gradualmente quasi in oggetti di design, in particolare dall’introduzione dei colori chiari portata proprio da Olivetti. Sempre Olivetti stimolerà il passaggio dall’uso “professionale” a quello personale dei calcolatori, con la Programma 101 del 1965, esposta insieme ad alcune reclame dell’epoca, primo oggetto che viene pubblicizzato come piccolo, utilizzabile da chiunque e ovunque.

 

 

Foto di Arianna Sarti

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Pubblicato il: 15 gennaio 2014

Argomenti: Cultura, Pisa, Urbanistica

Visto da: 1656 persone

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