Ho visto MISS VIOLENCE e non vi dirò che è un film bello. Non può esserlo. Ovvio. Un film fatto bene sì, fatto molto bene. Ma bello non si può. Si esce con le budella sottosopra, un amaro in bocca e, forse, un po’ anche voglia di piangere.
La prima scena si imprime dentro come un acido.
È una scena glaciale, che mostra se stessa e nega se stessa, allo stesso tempo. È una scena dove il ruotare delle gonne sopra i calzettoni da bimba rimangono un po’ troppo sospesi. Una scena dove, immediatamente, non si sa chi è CHI. Figlia madre nonna nonno figlio sorella fratello. Ma CHI? DI CHI? Quali i ruoli? Quali madri? Quali padri? Non se ne capisce eh, ma si sente nell’aria quel che di malato, di congelato, i sorrisi tirati, occhi spenti, mani sulla spalla, e si sospetta di tutto e tutti, sin da subito. E il sorriso della bimba mentre si lancia dal balcone è tutto il film. È IL FILM. È un sorriso di vittoria nella sconfitta, di sfida nella rassegnazione, di felicità nel dolore. E le note di Leonard Cohen, Dance me to end love, si amplificano in mezzo a tanto silenzio e sottolineano la dipartita di Angeliki come un’eroina da sottrazione. E il capannello silenzioso di famiglia attorno alla chiazza di bimba, sangue su sangue, è immersa in silenzio irreale, e noi la guardiamo, schiacciata dall’alto dell’inquadratura a piombo, che non perdona nella sua audacia e che rende tutto il teatrino perdente da subito. Il film è silenzio, claustrofobico, un silenzio assordante riempito solo da primi piani che non urlano, muti. Urlo di Munch fatto film. Il film è quasi senza musica, solo quella infradiegetica, che accarezza le scene con il suo stridore, musica da ritualità dell’orco, la cassetta nel mangianastri dell’abuso. Sarà per questo che si sentono davvero laceranti – strazianti devastanti assordanti – quelle urla da quattordicenne stuprata (umiliata-sputata-schiaffeggiata-derisa) da chi paga il padre. Ma lo stupro vero è quello dell’anima, il terzo uomo, colui che l’ha creata e ora la usa e la fa usare. Non avevo mai visto, nemmeno al cinema, un padre che si scopava la figlia e con soddisfazione. Eh no, non sarà mai un film bello questo. Troppo schifo fa. Nausea, dentro. E la paura si tocca con le mani. Aperte. E l’imposizione di silenziosa accondiscendenza si respira intorno alla tavola dell’orrore. Pranzo cena merenda colazione. La tavola. Della famiglia eh? La famiglia deve stare a tavola. E nessuno piange, nessuno urla, nessuno scappa. Nessuno esiste. L’inquadratura rincorre corridoi sgangherati con porte su porte. E sono le porte che si chiudono e che si aprono, ma soprattutto che restano là, come testimoni della lucida follia familiare. La buona famiglia borghese che cela dentro di sè il peccato da nascondere per sempre. L’ultima scena, con l’immagine della serratura che fa croc. Di nuovo e per sempre. Croc: si chiude. Sulla nonna-orchessa che si auto-sostituisce? Forse, si faa intendere. Tema, quello della famiglia maltrattante e abusante, che ha un precedente greco, Kynodontas, conosciuto come Dogtooth di Giorgos Lanthimos, interessante, una famiglia che si spoglia dei paraventi e si mostra, con tutto quello che di nascosto c’è, eccome.
Un film terribile, girato bene e con coraggio. Il coraggio di denunciare finalmente la violenza domestica, la MISS VIOLENCE. E un attore straordinario Themis Panou – coppa Volpi meritatissima – che raccatta l’odio di chi lo guarda. Io.