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DiSbieqo I segreti di Osage Country, di John Welles

I-Segreti-di-Osage-Country

Tratto dalla pièce teatrale di Tracy Letts, “I segreti di Osage Country” di John Welles è un film interessante. Se non altro, basterebbe l’interpretazione di Meryl Streep a mettere in sicuro il film da qualsiasi critica.

Il cast, eccezionalmente di vip, vede una Julia Roberts completamente trasformata – a dirla tutta ci piace quasi di più del solito, con le rughe da donna normale e una taglia più morbida – che perde la sua aura da pretty woman e si cala nei panni di una vera attrice.

Il film racconta un piccolo dramma familiare, non tanto per la sparizione del padre di famiglia – che avrà conseguenze abbastanza ovvie – ma per l’incontro-scontro generazionale della vecchia madre con le tre figlie, all’interno di un gruppo più allargato di sorelle, cognati e nipoti, che di problemi non ne hanno pochi.

La famiglia, riunita a forza nella spazio claustrofobico della casa, – le scene sono quasi tutte girate in interni – mette su un esilarante teatrino acido di litigi, in un susseguirsi – che rasenta anche un po’ l’eccesso della verbalizzazione del “peggio” – di dialoghi, decisamente dai toni alti e striduli, ma abilmente ferrati su una sceneggiatura ben scritta e sulla forza della recitazione. Diciamolo: il film si fa “recitazione” e poco importa se troppo teatrale – per qualcuno – pur sempre di ottima recitazione si tratta. La performance delle attrici è infatti esemplare – e per questo “teatrale” – con un’unica grossa pecca: quella di distogliere l’attenzione dello spettatore che, più che commuoversi, è colpito e estasiato da alcune scene.

Le tre sorelle, – variegato esempio di causalità genetica – hanno qualcosa da recriminare alla vecchia madre, ognuna a proprio modo attraverso un intrigo, nemmeno troppo sotterraneo, di rancori esplosi e implosi – Juliette Lewis nella parte della figlia più “vacua” forse è l’unica a recriminar meno. Ma la madre è vittima lei stessa? Sposata da anni a un alcolista, drogata di psicofarmaci, addormentata dagli antidolorifici per il cancro, si trasforma in una marionetta intorpidita che affascina nella sua calvizie da chemio. Interessante che sia proprio la bocca l’organo colpito: bocca che emana parole cancerose contro tutti, in continuazione; bocca che fuma con bramosia da automa; bocca che si fa esplosiva, non solo nella malattia, ma anche nell’eccesso di comunicazione/anticomunicazione. La Streep, va ammesso, sa comunque conquistarci pur nella sua follia mista e siamo un po’ più con lei e meno con la Roberts, figlia un po’ cattiva-vendicativa-rancorosa-devastata.

Forse un po’ ci si stanca a seguire le dinamiche della famiglia borderline, tra le parolacce miste a insulti, in un’oscena mescolanza di vituperio e operetta, la trama alla fin fine è quella di una casa Gori americana, ma si supera la dimensione dell’ovvio grazie alla vittoria della pura verità a tutti i costi, infatti, la verità, se la si dice fino in fondo, porta ad un’inevitabile distruzione dall’interno, uno sgretolarsi delle relazioni e dei fili affettivi, lisi e ormai vicini allo strappo. Non c’è ipocrisia, non c’è un ricucire, un tentare di incollare i pezzi.

L’inizio del film è ben costruito, con un panoramica che sottolinea la breve apparizione del padre, che sembra parlar-ci, attraverso una voce extradiegetica, ma che, in realtà, sta dialogando con la nuova domestica, rimasta nell’ombra del fuori campo. Ed è proprio lei il personaggio-chiave del film, la Cheyenne silenziosa, maltrattata da un verbale razzista, ma, in fondo, l’unica a interpretare la lealtà, l’onestà e i valori primordiali di “giustizia”: bella la scena della violenta reazione contro l’approccio pedofilo e, in chiusura, la dolcissima carezza alla Streep che piange tra le sue braccia, una Pietà con con la loro plasticità dei corpi.

DiSbiequo cambia data: dal 8 febbraio il suo giorno diventa il sabato.
Il prossimo film A proposito di Davis  dei fratelli Cohen.

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Pubblicato il: 5 febbraio 2014

Argomenti: Cinema, DiSbieqo, Quaderni

Visto da: 1016 persone

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