Come ci insegnano da anni, prima di valutare le vicende è necessario conoscerne i protagonisti. La base del giudizio deve essere guidata dalla coscienza profonda delle origini, del contesto storico-geografico e, nel caso di un fenomeno antico, delle testimonianze che ne parlano. Per nostra fortuna, la storia ha preservato un importantissimo reperto che documenta la nascita e l’evoluzione del Pendolare. Soltanto una chiara comprensione della sua genesi potrà guidarci nell’impervio percorso della narrazione, delle polemiche, delle occasioni, dei cliché che da sempre fluttuano intorno a questa figura. Così, non vogliatemene, diventa doveroso riportare per intero il documento prima di iniziare ad addentrarci nell’epopea del Pendolaresimo.
“Migliaia e migliaia di anni fa, l’umanità attraversò secoli di felicità sotto l’egida del dio protettore dei ritardatari, Granqlo. Un infausto giorno, Egli si ammalò gravemente. I suoi sudditi, quelli che ancora dovevano pagare il canone, coloro a cui non era suonata la sveglia e insomma tutti quanti avessero un debito verso il Granqlo dispensatore di momenti di pace e serenità, piansero a lungo. Tra loro, tuttavia, sedeva uno spirito cattivo, Imprevisto, che bofonchiava tra sé e sé tenendosi alla larga dal cordoglio. Imprevisto era il figlio maggiore del Granqlo. Il padre non lo aveva mai amato e anzi imputava a lui una serie di malaugurate disgrazie accadute agli uomini nel corso dei millenni. Il freddo a Waterloo, Efialte alle Termopili, il festival di Sanremo in Italia e così via. Per questo motivo, Granqlo gli aveva sempre preferito la secondogenita Persicurezza. Ella era invocata e adorata da chi, memore delle lezioni del Granqlo, era ben deciso a non sprecare ulteriori occasioni di redenzione. «Mamma, usciamo cinque minuti prima oggi, Persicurezza», «Aspetta, mi porto un altro pacco di fazzoletti, Persicurezza», «Oddio meno male che avevo preso la sciarpa Persicurezza». Inni di questo genere erano una pugnalata nel petto di Imprevisto che, furente di invidia, decise di allearsi con la sorella cattiva di Granqlo, Spheega. Imprevisto e zia Spheega lavorarono alacremente alla messa in atto di un progetto astuto e subdolo: creare un essere che vanificasse ogni intervento tanto del Granqlo quanto di Persicurezza. Lo scopo era semplice: costringere i fedeli alla terrorizzata superstizione del Contrattempo. Solo così Spheega e Imprevisto avrebbero dominato il mondo. Unirono fretta e scarpe slacciate, orologi indietro di cinque minuti e distrazione, scarsa capacità atletica, innato spirito di affaticamento, chili e chili di cianfrusaglie inutili sulle spalle e tramezzini sullo stomaco, fogli, stampanti, computer, tasche bucate e biglietti volanti. Amalgamarono il tutto con abbondante sudore et voilà, la creatura era pronta.
Lo chiamarono Pendolare.
Ma subito si resero conto che il Pendolare di per sé sarebbe stato innocuo, dal momento che non aveva strumenti con cui esercitare il diabolico potere di cui era stato investito. Imprevisto e Spheega decisero così di donargli un emblema, un simbolo, un qualcosa di simile al tridente per Poseidone, ai fazzoletti verdi per i leghisti e allo spingardino per Dinamite Bla.
Spheega e Imprevisto gli donarono il Treno.
Ne avevano parlato a lungo. Quale poteva essere l’unico mezzo in grado di far rimpiangere agli umani l’epoca di panciolle in cui avevano gongolato per anni, sotto l’ascella deodorata di Granqlo e Persicurezza? Quale unica forma di vita semovente e inquinante poteva sfuggire al loro controllo? L’aereo? No, troppo catastrofico. La macchina? No, troppo prevedibile. Il pullman? No, troppo democristiano. Il treno era perfetto. Il treno era l’unico mezzo di locomozione anarchico, indipendente, l’unico in grado di autodistruggersi in corsa, di decidere se partire o meno dal binario programmato, di dimostrare a tutti che le porte automatiche difettose potevano essere l’unico modo efficace per incastrare potenziali ladri, impostori e non-timbratori recidivi.
Era fatta. Il treno e il pendolare. Come Ercole e Pegaso.
Insieme riuscirono a fare grandi cose, ma la più eclatante è sicuramente la rivoluzione linguistica che attuarono: per la prima volta, il mondo conobbe le parolacce. La Terra tremò, il cielo si oscurò e durante lo sciopero dei treni sulla tratta Aulla-Pisa l’umanità ristette atterrita quando udì per la prima volta il disumano urlo MAALLORAVAAAFFFFFFFAAAAAAAAN”.
A questo punto il documento si interrompe bruscamente. Ma da quel giorno, Imprevisto e Spheega dominano incontrastati nella vita quotidiana di tutti noi. Riuscirono addirittura a mutare il genoma degli umani, e il pendolare non rimase più una creatura isolata. Egli si riprodusse, generò altri pendolari che generarono altri pendolari e così via. E il treno, anche lui, si perfezionò. Diventò più utile, più capace, più essenziale ai trasporti e più responsabilizzato. E in quanto tale, più minaccioso. Perché se si fora la ruota di un motorino te la cavi con un paio di generiche invettive. Se il treno ritarda e perdi l’unica coincidenza, le invettive le semini come mamma fa con i gerani a primavera.
Da allora, Granqlo nulla poté. Da allora, a nulla valsero le precauzioni Persicurezza.
Il pendolare divenne vittima e allo stesso tempo carnefice. Il rapporto tra treni e pendolari divenne sempre più morboso, ambiguo, distorto. Non potevano fare a meno l’uno dell’altro, eppure si odiavano, si maledicevano, si facevano male a vicenda. Uno con gli atti vandalici (perché, veramente secondo voi sono gli zingari o i teppistelli delle medie?), l’altro con esaurimenti nervosi e distorsioni muscolari.
Esisterà mai un lieto fine?
Alla prossima settimana.
Alessia R. Terrusi