Il progetto Musicastrada lancia in queste settimane la sua omonima etichetta “Musicastrada Records”, a partire dall’uscita del disco della Baro Drom Orkestar, esibitasi a Pisa lo scorso week end per presentare l’album “Genau!”.
Quale momento migliore per tentare di tirare le somme, con l’aiuto di Davide Mancini del progetto Musicastrada, di quattordici anni di attività sul territorio toscano, spesi nell’organizzazione e nella promozione di luoghi e artisti, per portare la musica di celebrità nazionali e internazionali proprio sotto casa della gente, là dove il jet set è una parola sentita forse in qualche soap opera ed è la qualità a dover fare da padrona.
Immancabili le fotografie di Michela Biagini, intrepida report del live dell’ensemble, composto da Modestino Musico alla fisarmonica, Vieri Bugli ai violini, Michele Staino al contrabbasso elettrico e Gabriele Pozzolini alla batteria e percussioni.
Se dico Musicastrada penso a un grande percorso di valorizzazione del territorio toscano attraverso un’esperienza che forse a poco a poco sta perdendo il grande significato sociale e culturale, quella del concerto live. Quando nasce questo progetto e qual è il suo stato di salute?
Musicastrada nasce nel 2000, dalla comune passione di musicisti e tecnici dello spettacolo e, successivamente, fotografi che decisero di fondare un organizzazione capace di accogliere tutte quelle richieste di concerti di qualità che troppo spesso mancavano, e a tutt’oggi un po’ latitano, dalle dalle piazze dei nostri paesi.
Considerando che siamo in piena recessione, che il settore culturale è sempre il primo ad esser tagliato senza un preciso motivo, visto che i bilanci dedicati alla cultura sono talmente ridicoli che gli eventuali tagli non possono risolvere niente per la già esigua cifra di partenza, ricordando che siamo in Italia e, aggiungerei, nell’anno di grazia 2014, direi che lo stato di salute del progetto è ottimo! Non so se si percepisce l’ironia…Lamentele e scherzi a parte, come dico sempre a me stesso tutte le mattine: “Hai un alternativa? No. Ecco allora vai avanti”.
Far rivivere le piazze, i patii delle chiese, i locali sparsi nelle nostre ridenti campagne ha fatto di Musicastrada un festival veramente condiviso e largamente partecipato da tanti soggetti. Qual è la vostra idea di promozione musicale e culturale e quali sono le difficoltà che avete riscontrato o le gioie che qualche luogo e ente in particolare vi ha regalato?
Portare musicisti che provengono da mezzo mondo in luoghi non originariamente deputati a concerti, ma che rappresentano un luogo d’incontro, in primis le piazze, è per noi la quintessenza del nostro modo di promuovere la musica e la cultura in generale.
Portiamo musicisti che rappresentano la propria cultura, le tradizioni e le evoluzioni delle stesse attraverso la propria musica, portandola “di fronte alle porte di casa”.
Le difficoltà fanno parte del nostro lavoro, diciamo che lo rendono più interessante, e, a parte la mancanza atavica di fondi.
Ogni volta inizia il lungo periodo di preparazione durante il quale cerchi i fondi, promuovi l’evento, fissi un artista, organizzi la produzione del concerto, ti occupi delle burocrazie varie (Siae Enpals, permessi vari), gestisci e coordini il personale. Quando dopo tanto lavoro vedi che un concerto nel quale si realizza quella magica alchimia fra musicista e spettatore, pensi che non ci altro da chiedere di più di quel momento.
In tutto ciò un ruolo fondamentale, e tante gioie, ce le hanno date proprio le istituzioni che hanno avuto il coraggio e la costanza di promuovere e finanziare i nostri progetti; i comuni, la Provincia di Pisa, la Regione Toscana, le Fondazioni Bancarie e i tantissimi sponsor che ogni anno con caparbietà credono ancora in noi e nel nostro messaggio. E soprattutto, dietro alle istituzioni, le persone, che si mettono in gioco in un progetto coraggioso come Musicastrada.
La grande forza di Musicastrada è quella di pensare alla musica come un’arte fruibile al di fuori del circuito dei locali dell’urbe, collaborando direttamente con enti locali e associazioni nella ricerca di luoghi particolari, decentrati e suggestivi. Quali riscontri di pubblico e critica avete ottenuto operando sì con grandi artisti, anche internazionali, ma collocandoli in location finalmente originali?
Direi che la nostra è stata quasi una sfida che abbiamo sposato fin dall’inizio perché anche a noi interessava capire come gli artisti avrebbero reagito in situazioni un po’ anomale da quelle alle quali sono normalmente abituati. Durante il festival c’è un contatto vero tra musicista e spettatore, non quella distanza che si crea ai grandi festival, dove il musicista è protetto da grandi palchi, backstage inavvicinabili e servizi di sicurezza impenetrabili.
Come tutte le sfide abbiamo avuto a volte ottimi riscontri, a volte critiche, soprattutto per scelte artistiche alle volte un po’ azzardate. Negli anni comunque abbiamo aggiustato il tiro, cercando il giusto connubio tra qualità e fruibilità, soprattutto analizzando le esperienze pregresse. Ad oggi possiamo dire che l’evento del festival è atteso con ansia dalle comunità che ci seguono.
Non solo musica suonata, ma anche webzine, fotografia, video. Vien da dire MusicaPartecipata. Come concepite l’interazione di più arti al servizio del live, della pubblicizzazione e dello storytelling?
La musica non è solo il momento del concerto, ma è un percorso che dura tutta la vita.
Si nasce malati di musica, ma poi ci si divide o si sceglie di appartenere ad una o più categorie: strumentisti ed esecutori, ovvero chi suona uno strumento con più o meno capacità tecniche ed emozionali, compositori, sempre più rari, quelli che personalmente considero la parte più importante della “filiera”, critici e giornalisti, cioè coloro che raccontano e diffondono, curatori di immagine, come fotografi e video maker, ancora produttori e promoter, che rendono possibile l’evento. Non me la sento di dire che gli artisti sono solo ed esclusivamente i musicisti, direi che ognuno nel suo piccolo esercita un “arte” e lavora in funzione e per gli altri.
Ecco perché negli anni abbiamo aperto alla fotografia e al giornalismo musicale, perché crediamo fermamente che ognuno di questi settori si alimenti a vicenda.
E Musicastrada è anche booking agency. Il vostro roster di band e musicisti è ricco di nomi davvero interessanti e proprio sabato scorso al The Cage Theatre di Livorno si è esibito “uno dei vostri”, Frankie Chavez. Come sta andando dal punto di vista dell’organizzazione di singoli eventi?
Mettere su un agenzia di booking è una delle parti del nostro lavoro che definirei più difficile. I club ed i festival sono sempre meno, i musicisti talentuosi sempre di più. La crescita è inversamente proporzionale e puoi immaginare che guerra sia la ricerca degli spazi per far esibire i propri artisti. Proprio perché in guerra abbiamo accuratamente scelto le armi da utilizzare, ovvero gli artisti del nostro roster e come tu stesso hai detto sono molto interessanti. Frankie Chavez e Baro Drom Orkestar, in questo momento rappresentano bene la nostra filosofia: la qualità, alla fine, ripaga.
L’occasione di questa intervista nasce anche dal recente lancio di un’ulteriore espansione del progetto, ovvero il lancio della vostra etichetta. Cosa vi ha spinti a spostare il focus dalla promozione alla produzione?
È un po’ una mia vecchia fissazione quella di fare il produttore, per il momento esecutivo poi, spero, artistico. Al di là della soddisfazione personale, la necessità di avere un etichetta nasce dal fatto che i nostri gruppi lavorano bene dal punto di vista del live, ma hanno bisogno di aiuti esterni per la produzione e la distribuzione discografica.
I dischi troppo spesso sono considerati semplici gadget da concerto invece, nonostante il crollo del mercato del CD fisico, sono mezzi ancora importanti per l’immagine e la credibilità di un gruppo. Invece di affidarci a entità esterne abbiamo quindi deciso di cercare fra noi, visto che non ci manca nessuna figura professionale capace di produrre un disco. Abbiamo scelto la BDO perché Musicastrada ha iniziato con loro la sua avventura di booking e perché hanno composto un gran bel disco, da ascoltare senza indugio.